Un modo per superare questi atteggiamenti estremi consiste nell’ignorare l’eventualità della morte, e far finta di niente. Senza alcuna campagna al riguardo, ci riusciamo benissimo: ogni anno solo in Italia la banale influenza stagionale causa circa 10.000 decessi diretti o indiretti. L’ondata di calore del 2003 ha causato 4.000 morti. Non parliamo delle morti dovute a degrado ambientale, dalle polveri sottili ai vari veleni che ingeriamo o respiriamo. Moriamo a migliaia sulle strade.
La reazione a questi numeri è che si pensa sempre che saranno gli altri ad essere colpiti, e non si dà loro molta importanza.
Non ci preoccupiamo di moltissime cause di morte e poi, all’improvviso, ci concentriamo solo su una, anche se la probabilità che ci colpisca direttamente è infinitesima. La paura irrazionale rende difficilissimo ogni ragionamento. Se si minimizza si viene accusati di prendere sottogamba un problema che può causare la morte. Se si lanciano allarmi si viene accusati di allarmismo.
È evidente che non siamo abituati a gestire emotivamente emergenze complesse.
Queste situazioni sfuggono di mano, come spiegato perfettamente nel film Mary Poppins, dove i figli del bancario, rifiutando di investire i loro piccolissimi risparmi in banca, innescano una crisi finanziaria generata da un panico immotivato. Così, ora, oltre agli impatti sulla nostra salute ecco quelli sulla nostra economia.
Gli scienziati, intanto, si accapigliano proprio come i politici: qualcuno si lancia in previsioni catastrofiche, altri tranquillizzano. Qualche irresponsabile sta dicendo che sono i cani e i gatti a trasmettere il coronavirus. E qualche fesso disposto a bersela si trova sempre. L’orlo della crisi di nervi è già stato abbondantemente superato. Per fortuna i media stanno cambiando strategia comunicativa e ora tendono a tranquillizzare.
[“Il Secolo XIX” di venerdì 28 febbraio 2020]