di Paolo Vincenti
“Ma ormai non c’è più scampo
la pubblica ottusità ci seppellirà
in un alito di peste
dei poveri e dei ricchi che
sporcano le città
il mare sta morendo
e un po’ del nostro amore sta
morendo insieme a lui
e l’aria che stai respirando
è piena di quei mostri che
ha inventato l’uomo”
(“La pubblica ottusità” – Adriano Celentano)
Dove ci conduce la scienza? L’anniversario del disastro di Chernobyl che ricorre in questi giorni ci riporta alla memoria delle immagini forti, dense di significato, pregne di storia. Sono quelle immagini che noi ragazzi degli anni Ottanta abbiamo assorbito senza accorgerci, che sono entrate in maniera indelebile nel nostro bagaglio iconografico. La grande ciminiera che fuma, le esalazioni, poi i bambini deformi fatti vedere dalla trasmissione di Raitre “Fuori orario”, trasmessa a tarda notte. Tutto questo era Chernobyl, emblema del fallimento dell’economicismo che ha dominato le scelte politiche del XX secolo, come scrive Umberto Cerroni (“Taccuino politico-filosofico 2000”, Manni Editore), in entrambe le direzioni del liberismo e del suo opposto, il socialismo. L’incendio di si diffuse in maniera 400 volte maggiore della boma atomica di Hiroshima. Oggi quei tempi sembrano lontani, ma non così il pericolo di una nuova immane tragedia. Ne abbiamo visti di disastri, in questi ultimi anni. Ciò perché l’uomo non riesce a prendersi cura di questo vecchio pianeta.