di Ferdinando Boero
Nei primi anni Ottanta, quelli dell’edonismo reaganiano, il terrore era l’Herpes (labiale o genitale che fosse), poi arrivò l’AIDS e le cose si fecero davvero serie: la peste del 2000. Prima ci fu la Spagnola, seguita dall’Asiatica. Migliaia e migliaia di morti. Più recentemente arrivò l’aviaria: la psicosi superò i limiti del ridicolo quando i giornali comunicarono, a titoli cubitali, che un pappagallo era morto in Scozia. Per poi informarci il giorno dopo che il povero uccello era già affetto da altra malattia. Si spesero tre miliardi (pagati con soldi pubblici) in vaccini che restarono inutilizzati non per colpa di fanatici no vax ma per palese inutilità. Per un po’ avremmo dovuto morire tutti di SARS. Le banali influenze stagionali mietono migliaia di vittime ogni anno e non ci facciamo caso, ma il coronavirus ci terrorizza. I media non fanno che parlare di questa nuova peste, ricordandoci di non farci prendere dall’ansia e dall’allarmismo e, così facendo, generano ansia e allarmismo. Le varie autorità fanno a gara nel prendere drastiche decisioni, per non correre il rischio di sentirsi accusare di aver sottovalutato la minaccia, come avviene in tutti i film catastrofici, che iniziano con uno scienziato che lancia un allarme e nessuno gli crede. Io sono uno di quegli “scienziati” (lo metto tra virgolette perché la parola è impegnativa): ho lanciato ripetutamente allarmi per l’emergenza climatica, assieme a migliaia di colleghi. Ne ho lanciati per l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, per l’erosione della biodiversità, la distruzione degli habitat.
Eccediamo nell’uso di antibiotici (che, comunque, sono inefficaci contro i virus), così i ceppi batterici diventano resistenti e i farmaci perdono di efficacia. Solo in Italia, la resistenza agli antibiotici causa diecimila morti all’anno per infezioni batteriche. Diecimila!!!! Questa psicosi per il contagio da coronavirus indica scarsa conoscenza dei rischi che corriamo davvero ogni giorno.