di Rosario Coluccia
Da quando questa rubrica appare su «Nuovo Quotidiano» ricevo molte lettere di lettori che segnalano fenomeni singolari o impropri della lingua ascoltati in radio o in televisione, letti sui giornali, in rete e perfino nei libri. O riflettono sull’italiano che essi stessi usano. La cosa mi piace, è bello che gli italiani discutano su «che lingua fa» (come parlano di «che tempo fa»), è segno di appartenenza e di identità: ci interroghiamo sui nostri comportamenti linguistici, se la riflessione diventa un’abitudine la applicheremo a tutte le forme del vivere collettivo, saremo più consapevoli, aumenterà la democrazia. Commentiamo un paio di lettere.
1. Un caro amico, matematico della nostra università, mi scrive. «Mi scuso se torno a scrivere su questioni di lingua. Uso sistematicamente la “i” eufonica: dico e scrivo abitualmente in istrada, in Ispagna, in Isvezia, in ispecie, in Iscozia, in iscuola…. So che a molti, in primo luogo ai miei figli, sembra una maniera antiquata di esprimersi, ma sono stato abituato cosí e a me piace. Tuttavia, vi sono espressioni nelle quali non solo non mi verrebbe in mente di usarla, ma addirittura mi suonerebbe stonata; mi vengono in mente in Statistica (matematica), in spagnolo. Mi domando se ciò accada perché le parole dei primi esempî sono bisillabi, mentre statistica e spagnolo hanno tre sillabe; o è forse questa una regola che mi sono inventato io e che non ha alcun fondamento». Chi scrive è persona discreta, non ama mettersi in mostra, mi chiede di non fare il suo nome, pur se la lettera è firmata. Rispetto la sua volontà.
Il fenomeno descritto si chiama prostesi, indica l’aggiunta di un elemento non etimologico (la i-) all’inizio di una parola che comincia per s- complicata (cioè seguita da un’altra consonante),quando precedono con, in, per o altra parola uscente in consonante. Come negli esempi che abbiamo visto e in altri: per ischerzo, con isdegno, per iscritto, ecc. Serve ad evitare sequenze di suoni non abituali nell’italiano, come [n+str] (in strada), [r+sk] (per scherzo), ecc. La parola italiana prostesi nasce dal latino prosthesi(n), a sua volta dal greco prosthesis ‘aggiunta’: accade spesso, una massa imponente di parole italiane deriva dal latino che a sua volta le ha prese dal greco. Basterebbe questo per giustificare l’insegnamento delle lingue classiche nelle scuole, che non consiste nell’imparare a memoria desinenze e coniugazioni astruse. Ben guidati da professori intelligenti, i ragazzi si abituerebbero a riflettere sulla storia dell’italiano, imparerebbero molte cose su passato e presente, sui rapporti tra civiltà diverse, sulla storia e sulla geografia.