di Antonio Errico
Lo spazio per l’immaginazione si fa più ristretto. Sempre più ristretto, quasi ogni giorno. Comunque a breve giro di tempo. Come se non avessimo più nulla da immaginare, come se avessimo immaginato già tutto l’immaginabile. Esiste un sistema che immagina per noi, che ci propone tutto già confezionato: pacchetti completi di immaginazioni, storie, figure, prodotti, invenzioni, occasioni consuete o rare.
Così la nostra, personale, possibilità di immaginazione si riduce progressivamente. Forse si azzererà in maniera rapida. Forse si è già azzerata. Ci è stata sottratta la possibilità di elaborare immaginazione, la tensione verso l’ipotesi di qualcosa di nuovo, di sconosciuto. Non ci domandiamo come può essere una cosa o un’altra, che forma possa avere quello che non conosciamo; possiamo cercarlo tra le maglie della Rete, che quando non può proporci una realtà, comunque ci fornisce una simulazione, una realtà virtuale, una finzione.
Ma se l’immaginazione costituisce la prima fase di un processo di conoscenza, senza quella fase il processo di conoscenza s’interrompe o comunque riduce la sua valenza.
Di conseguenza, se immaginiamo poco, apprendiamo poco, soggettivamente e collettivamente.
Altri immaginano e conoscono al nostro posto. Una minoranza di persone, una comunità ristretta, sviluppa una conoscenza che poi ci viene offerta o imposta ad alto o basso costo, per cui non solo abbiamo tutti lo stesso sapere ma arriviamo a quel sapere tutti allo stesso modo. Il vero e il falso valgono per tutti, il bene e il male valgono per tutti, come quello che è giusto e quello che è sbagliato. Tutto vale per tutti, senza differenza.