Poi, con il declinare del secolo, tutta la teoria e la prassi sperimentale è andata smorzandosi gradualmente. Probabilmente per stanchezza ma certamente per la predominanza che hanno assunto le ragioni del mercato.
Così, a fare i conti rapidamente, si concludeva che la vera, grande, straordinaria sperimentazione del Novecento è avvenuta nei territori della scienza. Perché in quei territori l’innovazione ha riguardato il senso profondo, la sostanza. Perché ha modificato l’immaginario e ha conformato un nuovo pensiero, ha trasformato i concetti di tempo e di spazio, ha proposto nuove concezioni e nuove rappresentazioni delle creature e dell’universo, ha rivelato misteri ritenuti inviolabili. La scienza non ha tenuto conto delle caselle che custodivano conoscenze acquisite e consolidate. Ha disarticolato i canoni. E’ andata oltre.
A volte si ha l’impressione che ancora adesso persista la convinzione che la creatività abbia una relazione esclusiva con le espressioni delle arti tradizionali.
Comunemente si dice – ancora – e purtroppo lo si dice pensandolo – ancora- che creativo è colui che scrive un romanzo, una poesia, che dipinge una tela. Indubbiamente è anche questo. Ma il secolo scorso, più di ogni altro secolo, ha dimostrato che creativo è colui che nella assoluta solitudine di un laboratorio, nell’anonimato più buio, passa i giorni e anche le notti a cercare in una cellula, in un filamento, in non so che cosa, un elemento che possa donare agli uomini una speranza. Ha dimostrato che la meravigliosa creatività di Leopardi espressa nella sua incessante interrogazione della Luna, non è superiore al silenzio di quell’uomo che con il piede, forse tremante, sfiora la superficie della Luna. Si può dire che si tratta di due diverse forme della stessa creatività, che però si equivalgono, perché sia l’una sia l’altra sono la rappresentazione di un pensiero che è andato oltre, ha violato i limiti del sapere, i confini e gli assetti dei canoni.
Forse, per distinguere e per comprendere quello che è veramente creativo da quello che è creativo soltanto in apparenza, che è una finzione di creatività, bisognerebbe adottare il criterio della qualità. Ma non è facile dire qualcosa, osare una definizione di qualità, dopo quel romanzo filosofico di Robert M. Pirsig che s’intitola Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta.
Però si può tentare di sostenere che la qualità della creatività consiste nel determinare qualcosa che produce un benessere per gli altri, a qualsiasi livello, in qualsiasi contesto, in qualsiasi situazione.
Da questa prospettiva, allora, non ci può essere nessuna generica differenza fra un’arte e una scienza, ma può avere senso soltanto una differenza specifica determinata dal progresso che quell’arte e quella scienza producono per tutti e per ciascuno.
Per esempio: il team dello Spallanzani che ha isolato il coronavirus, costituisce, allo stesso tempo, tanto l’ esempio di un esito della scienza quanto quello di una creatività nel contesto di una comunità che si realizza nel corso di un processo e di un metodo di scienza.
Per esempio: creativa è la discesa nei pensieri e nei sentimenti dei personaggi che Elena Ferrante compie nei suoi romanzi, dando a chi legge la possibilità di una ulteriore conoscenza dell’universo di dentro.
Ecco. Probabilmente creativo è tutto quello che consente all’umanità, oppure soltanto ad una creatura dell’umanità, di conoscere di più e di stare un po’ meglio dalle parti di questa Terra. Tutto il resto, tutto quello che è stato estratto da caselle bell’e e pronte, è soltanto una favoletta che comincia e che finisce senza portare nulla di meglio nella vita di qualcuno.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 16 febbraio 2020]