Itali-e-ni 33. Tre pizze al tavolo 14!

“Sole pizza e amore”, cantava Aurelio Fierro e il luogo comune trionfa (“Lugar commun, un luogo comune deve arrivare, dove tutto comincia a girare, girare…” – Jovanotti- Sergio Mendes). Pizza in the world, certo, ma il primato del gustoso disco volante rimane italiano. Esistono in commercio le pizze precotte o surgelate da completare poi a casa.

E adesso un po’ di storia, se non vi è di incomodo.  Il termine pizza, di origine tardo latina, comincia a circolare in Italia per la prima volta nel 997 nel “Codex Cajetanus” di Gaeta. Nel 1201, il termine compare in un documento di locazione di alcuni terreni presente presso la biblioteca della diocesi di Sulmona-Valva. Ma la pizza napoletana come la intendiamo oggi nasce propriamente a Napoli nel Cinquecento quando, dopo la scoperta dell’America, venne portata in Italia la pianta del pomodoro, proveniente dalla Spagna, dove Cristoforo Colombo l’aveva introdotta. Si trattava di un disco di pasta condito con il pomodoro. La prima notizia sull’uso in cucina del pomodoro si deve all’opera “Il cuoco galante”, 1733, dell’oritano Vincenzo Corrado, cuoco del Principe Emanuele di Francavilla. Corrado spiega che viene impiegato per condire la pizza e i maccheroni, due piatti che esprimono al massimo grado la napoletanità culinaria. Fin dal Settecento a Napoli erano presenti diverse botteghe dove si preparava la pizza, antesignane delle attuali pizzerie. Il Re Ferdinando di Borbone andava così ghiotto della pizza che entrò in una di queste botteghe per gustarla. Da allora, le pizzerie divennero dei locali alla moda. “O pizzaiuolo”, cantava negli anni quaranta il poeta Raffaele Viviani. Con «’A pizza», Aurelio Fierro e Giorgio Gaber conquistarono il secondo posto al Festival di Napoli del 1966. 

Purtroppo spesso, soprattutto negli Usa, la pizza viene associata agli italiani in maniera troppo frettolosa e soprattutto denigratoria, pensiamo al film “Pizza connection”, di Damiano Damiani (1985). Edoardo Bennato e Eugenio Bennato hanno scritto le musiche per il film di animazione “Totò Sapore e la magica storia della pizza” di Maurizio Forestieri, una storia romanzata ambientata a Napoli nel Settecento, sulla nascita della pizza. Una delle prime specialità di pizza creata nel Settecento fu la marinara, presto affiancata dalla margherita, creata nel 1796 e così chiamata perché offerta alla Regina d’Italia che era in visita a Napoli nel 1889, poiché richiamava per il colore dei suoi condimenti la bandiera italiana (bianco rosso e verde). Fino ad inizio Novecento, la pizza rimase uso esclusivo di Napoli, poi si diffuse in tutto lo Stivale. “A pizza c’a pummarola”, cantava Domenico Modugno. Anche Berlusconi e Apicella si sono cimentati nel genere musical-gastronomico con «Na pizza americana».

Il valore nutrizionale della pizza è molto vario a seconda degli elementi che vengono usati. Però la pizza costituisce un piatto unico perché il suo apporto calorico è molto alto. Le qualità organolettiche e la digeribilità dipendono dal modo in cui vene preparata, in particolare dal tempo di lievitazione: più è lunga la lievitazione (il disciplinare in materia prevede almeno due ore), più è facile da digerire. Regina della dieta mediterranea in Italia, il consumo della pizza è davvero notevole e pare da studi effettuati dall’istituto di Ricerche Mario Negri che sia addirittura benefica per la salute, allontanando il rischio di tumori all’intestino, all’esofago, alla laringe e alla faringe per chi ne fa un grosso uso (Notizie tratte dalla Rete). Oggi la pizza è a marchio Stg, cioè specialità tradizionale garantita e ambisce a diventare patrimonio dell’Unesco. La proposta è partita dall’Italia dopo che analoga proposta è stata formulata dagli Stati Uniti. Non sia mai che gli americheni ci possano scippare un vero emblema della nostra identità nazionale. Secondo il disciplinare, la vera pizza margherita dop, per essere anche stg, deve prepararsi con pomodoro san marzano dop, mozzarella di bufala campana dop, olio extra vergine di oliva e origano, con diametro non superiore a 35 centimetri e bordo rialzato tra 1 e 2 centimetri. L’industria della pizza italiana oggi, come riferisce “Panorama” dell’11 maggio 2016, fattura 5,3 miliardi di euro all’anno e occupa circa 150.000 lavoratori. Certo la pizza napoletana ha anche ceduto il passo alle numerose innovazioni, alcune davvero improbabili, che la cucina italiana crea. Per esempio, sempre Panorama riferisce della pizza alle verdure, oppure della cruditè ai gamberi (con gamberi rossi, stracciatella, insalatina e datterino candito), della tartare di manzo (con spinacini, asparagi, uovo di quaglia, parmigiano), oppure della Sant’Ilario (con prosciutto, ricotta, rucola, cipolla), ecc.; o ancora delle pizze gourmet, cioè spicchi di pizza con carpaccio di capasanta allo yuzu con radicchio e crema di pistacchi, o il crudo di gambero rosso, con cetriolo e Gin Tonic, e via con queste ed altre corbellerie inventate dalle pizzerie più trendy di Milano e Lombardia (puahh!!!).  Da qualche tempo è nata la pizza fritta che a Napoli furoreggia nei localini del centro.  “Pazzi per la pizza” (Alessia. La tv dei bambini). Ora è stato pubblicato “A PIZZA, viaggio nella canzone napoletana”, un curioso libro di Tommaso Esposito, edito da L’arca e l’arco, e corredato  da un cd in cui vengono reinterpretate le canzoni napoletane sulla pizza.   “I fell in love with the Pizza Girl  / Now, I eat pizza everyday  / Oh I fell in love with the Pizza Girl  / Now, I eat pizza everyday”  ( Jonas brothers). “Aho m’ha dato na pizza, mortacci!”, esclamano i romani per intendere, nel loro slang, di aver ricevuto un sonoro ceffone. Ci sono pizze quindi meno piacevoli e gustose, e perché questo testo non diventi esso stesso una pizza, meglio congedarci immantinente dai lettori.

LUGLIO 2016

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