Ma, ahimè, la storia non è così lieta come sembra; perché Bambolina era sì contenta di star sveglia tutta la notte, ma avrebbe voluto qualcuno che le facesse compagnia, un’altra bambola per esempio, una qualsiasi di quelle che c’erano nella stanza, lei non aveva preferenze. Andava su e giù, avanti e indietro, pizzicando ora una ora l’altra bambola, per vedere se le riusciva di animarne qualcuna; e le scuoteva prendendole per mano, per distoglierle da quel sonno così innaturale che le rendeva immobili e prive di vita, ma invano, e allora finiva con l’urlarle contro: non c’era verso: tutte sembravano come preda di un incantesimo, e rimanevano al loro posto, con gli occhi vitrei sbarrati, e tutt’al più qualcuna, dotata di un microchip che la rendeva sensibile all’avvicinarsi di lei, emetteva qualche parola secondo il suo programma, ripetendo sempre le stesse cose fino a quando Bambolina non si fosse allontanata, e poi taceva per l’eternità. E allora quel silenzio sembrava a Bambolina davvero insopportabile, e avrebbe voluto che la luce fioca della lampada lasciata accesa – Sara difatti aveva paura del buio – si spegnesse, per non vedere più i corpi inanimati delle sue simili, che non si curavano di lei e la lasciavano nella più profonda e tetra solitudine. Fino a quando avrebbe potuto vivere in quel modo?
Fu così che un bel giorno, anzi una bella notte, Bambolina decise che le cose dovevano cambiare. Dopo mezzanotte, quando ogni rumore in casa taceva, perché tutti erano già a letto, Bambolina, già sveglia da qualche ora, spinse la porta che di solito era lasciata socchiusa, e sgattaiolò fuori nel corridoio. Buio pesto! Pian piano le riuscì di abituarsi a quelle tenebre e di muovere qualche passo. Cosa credete? solo in apparenza una casa dorme di notte, o meglio, in una casa c’è sempre chi dorme e chi sta sveglio. Già nell’angolo del corridoio Bambolina aveva visto un ragno sulla tela, silenzioso e scaltro, intento a cibarsi di una mosca appena catturata. Dovevate sentire come masticava con gusto: crunch, crunch, crunch… Più in là, ecco uno scarafaggio con una mollica di pane che rientrava di tutta fretta in un forellino nel muro all’altezza del battiscopa, leccandosi i baffi: slurp, slurp, slurp… Bambolina guardava questi animaletti con una smorfia di disgusto, perché non le piacevano né i ragni né gli scarafaggi, ma in tutto quel mortorio erano una distrazione, le tenevano compagnia. In cuor suo si diceva che aveva fatto bene a varcare la soglia della stanza in cui fino ad allora era vissuta; anche se non tutto lì fuori appariva così bello – com’erano disgustosi quel ragno e quello scarafaggio! -, era sempre meglio che starsene chiusa in camera, in compagnia di bambole mute e insensibili.
Cammina cammina, quando il corridoio fu percorso in tutta la sua lunghezza – e vi assicuro che era un corridoio molto lungo -, bambolina giunse davanti a una porta socchiusa; la spinse e si ritrovò in una stanza, non più grande della sua, che aveva nel mezzo una tavola apparecchiata, piena di posate e piatti sporchi, con gli avanzi della cena. I genitori di Sara avevano dato da mangiare alla figliola, cioè ci avevano provato, senza riuscirvi, e poi l’avevano messa a letto, stanchi delle continue lotte che ogni giorno, mattina e sera, dovevano fare con Sara per farle assaggiare un po’ di cibo. Poi avevano mangiucchiato anche loro qualcosa ed erano andati a letto di malavoglia, senza curarsi di sparecchiare. Dicono che quando la sera non si sparecchia giungono gli angeli o i diavoli a mangiare i resti, a seconda che i bambini che hanno mangiato a quella tavola siano buoni o cattivi; ma a quella tavola non aveva mangiato alcun bambino, perché Sara non aveva mai voglia di mangiare. E poi forse la storia degli angeli e dei diavoli non è vera. Infatti, volete sapere chi stava banchettando al loro posto su quella tavola ancora imbandita? Ve lo dico subito. Era un topolino grigio, piccolino piccolino, che si era arrampicato fin lassù ed era intento a rosicchiare i resti della cena, preferendo…, indovinate che cosa? ah, sono certo che non indovinerete mai! … un gustosissimo pezzetto di formaggio.
Bambolina fece un bel sorriso quando nella penombra vide il topolino. L’aveva già conosciuto in un’altra occasione, quando egli, appena arrivato dopo un lungo viaggio, aveva fatto il giro della casa per capire dove avrebbe potuto trovare quello che cercava, cioè del cibo, e allora aveva perlustrato anche la camera di Sara. Ma si era sistemato all’altro capo della casa, dentro un mattone forato della cantina, da cui nottetempo sgusciava fuori per fare le sue provviste nella vicina stanza da pranzo. Senza interrompere la cena, il topolino così si rivolse a Bambolina, dando inizio a questo breve dialogo:
– Ciao Bambolina, come stai?
– Potrei stare meglio se avessi qualcuno con cui parlare.
– Ci sono qui io. Parla e io ti ascolterò.
– Grazie, sei molto gentile.
– Ma figurati. Non c’è niente di meglio che cenare in compagnia. Ma tu, non mangi?
– Non ne ho l’abitudine.
– Male! Bisogna mangiare, altrimenti si ha fame e col pancino vuoto non si riesce a dormire.
– Ci proverò.
Così disse Bambolina, ma facendo questa promessa sapeva di mentire, perché lei non aveva neppure idea di che cosa fosse il cibo e ne aveva disgusto solo a sentirne parlare. Intanto però le parole del topolino le avevano fatto bene, perché quella sera non si era sentita più sola, e aveva serbato la speranza di ritrovare la notte seguente il suo unico amico. E così accadde. Per qualche notte si incontrarono nella stanza da pranzo, il topolino mangiava gli avanzi della cena, Bambolina lo guardava mangiare e scambiavano insieme qualche parola.
E’ buono? – diceva Bambolina.
Certo che è buono – rispondeva il topolino, meravigliando molto della domanda di Bambolina.
Le bastava scambiare poche parole con il topolino, questo solo la rendeva felice e quando, al mattino, Sara si svegliava, Bambolina si addormentava contenta, senza avere più alcun timore della solitudine che fino ad allora aveva turbato la sua vita notturna. Eppure qualcosa non andava per il suo verso, e il topolino se n’era accorto. Come mai, si chiedeva, Bambolina lo osservava mangiare, mentre lui non l’aveva mai vista toccar cibo? Che fosse una bambola, questo lo sapeva, e in ciò consisteva probabilmente la causa della sua disappetenza; ma era una bambola molto speciale, come già si è capito, perché camminava, parlava, e soprattutto dimostrava di avere un cuore davvero grande, come quella volta che aveva avvertito il topolino dell’arrivo improvviso nella camera da pranzo del padre di Sara, il quale, se si fosse accorto che c’era un topo, di sicuro lo avrebbe ucciso a colpi di ramazza. E di questo il topolino non finiva di ringraziare Bambolina, dicendole che le sarebbe stato riconoscente per tutta la vita. Insomma, lui l’insonnia di Bambolina la spiegava con la disappetenza, e così si spiegava anche il pallore del volto e la magrezza del corpo, sintomi inequivocabili di una malattia. I due erano divenuti in breve grandi amici. Non vi dico il rammarico del topolino quando una notte non vide arrivare Bambolina. Che cosa le era accaduto?
Per accertarsene, questa volta decise di mettere in un fagotto qualcosa da mangiare – un pezzetto di formaggio, un tozzo di pane e un torso di mela – e di percorrere la lunga strada buia che tutte le notti Bambolina faceva per andarlo a trovare nella camera da pranzo.
Cammina cammina, attraversò il corridoio che non finiva mai, salutò il ragno che masticava con gusto: crunch, crunch, crunch,e lo scarafaggio che si leccava i baffi: slurp, slurp, slurp…, senza averne risposta, e alla fine pervenne nella stanza di Sara che quella volta, a mezzanotte, era ancora sveglia.
Sara aveva il volto emaciato e pallido, illuminato da una fioca luce, e sembrava concentrata in un pensiero, in una fantasticheria. Pensava – volete sapere che cosa pensava? ve lo dico subito – pensava che mai più Bambolina avrebbe avuto la forza di svegliarsi e di andare a trovare il topolino di là, nella stanza da pranzo, mai più, mai più, e questo pensiero le riusciva così angoscioso che avrebbe fatto di tutto perché così non fosse; e intanto guardava Bambolina che sulla mensola se ne stava immobile, confusa tra le sue simili, inerte, con lo sguardo fisso nel vuoto come un cadavere. Bambolina non le chiedeva niente per sé, ma Sara sapeva che la vita di lei dipendeva dal suo sonno, poiché Bambolina si sarebbe svegliata solo se lei si fosse addormentata. Fu a quel punto che il topolino decise che toccava a lui risolvere la situazione. Si arrampicò sulla sedia, e di lì balzò sul letto, e Sara vide all’improvviso, come in un bel sogno, che un grazioso topolino le si avvicinava, recando in una zampetta un pezzetto di formaggio e glielo porgeva gentilmente, e anche tutto compunto, perché aveva capito che quel momento era solenne: proprio lui aveva il privilegio di salvare la piccola Sara e la sua Bambolina.
Sara ringraziò il topolino e mangiò il formaggio, gnam, gnam, gnam…, meravigliandosi di provarne piacere, insomma mangiò proprio con gusto, gnam, gnam, gnam…, accettando anche un tozzo di pane e un torso di mela – cosa poteva darle di più il povero topolino? -, e alla fine gli promise che ogni sera, prima di andare a letto, avrebbe cenato coi suoi genitori; e mentre gli diceva queste cose, sentiva che un leggero torpore si andava diffondendo nelle sue membra, e gli occhi si chiudevano per il sonno, perché il pancino non protestava più per la fame e lei aveva voglia di dormire. E mentre Sara si abbandonava al sonno, il topolino vide che Bambolina si riscuoteva dalla sua immobilità e si svegliava, sbattendo le lunghe ciglia e stiracchiando le braccia.
Allora fu felice perché quella notte sarebbe andato in giro per la casa in compagnia di Bambolina.
[2001]