Di mestiere faccio il linguista 25. Quando la televisione è una buona maestra

La trasmissione ebbe un importante ruolo sociale ed educativo. Secondo alcuni calcoli, grazie a quelle lezioni a distanza quasi un milione e mezzo di persone arrivò a conseguire la licenza elementare. Se anche il numero fosse inferiore (come crede Aldo Grasso del «Corriere della Sera»), è certo che attraverso la televisione centinaia di migliaia di persone furono sottratte, anche imperfettamente, alla terribile prigione dell’analfabetismo e poterono accostarsi per la prima volta nella loro vita all’italiano scritto, apporre la propria firma, mettere per iscritto i propri pensieri e i propri sentimenti, leggere un libro o un giornale. L’insegnamento della lingua italiana diede un contributo formidabile all’unificazione culturale della nazione.

In quegli anni l’Italia, da poco uscita dalla seconda guerra mondiale, era caratterizzata da bassa scolarità e analfabetismo. Sono gli anni dell’abbandono delle campagne, dell’industrializzazione, del miracolo economico, delle migrazioni di massa dal sud al nord: i contadini meridionali, che parlavano solo dialetto, con le valigie di cartone si trasferivano al nord, diventavano operai e imparavano un po’ di italiano zoppicante. I film raccontano la storia di quel periodo, a volte in maniera efficace come i saggi scientifici. Paisà di Roberto Rossellini (1946) mette in scena italiano, lingue straniere e dialetti con alto grado di realismo: «cheste è ’a chiave ’e casa» «che vòi, che vai cercando?» «me frate e me patre sono fore da quattro juorne»; Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti (1960), ispirato al romanzo Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, racconta il dramma esistenziale di una famiglia lucana emigrata a Milano. Lo ripeto spesso ai miei studenti. Se si sa scegliere, se si sa riflettere, anche i film possono insegnare molte cose, come i libri. Ma bisogna usar bene il cervello, è decisiva la qualità della scelta, in giro ci sono cose ottime e cose pessime. Così va la vita.

Passano gli anni, aumenta la scolarizzazione. Il 31 dicembre 1962 viene approvata la legge che istituisce la scuola media unificata e sancisce l’obbligatorietà della scuola per almeno 8 anni (anche se rimane alta la dispersione, soprattutto al sud). Un bel libro di Tullio De Mauro (il grandissimo studioso appena scomparso, cfr. «Nuovo Quotidiano» del 6 e del 7 gennaio), La storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, spiega queste cose e dà molti dati, chi vuol saperne di più lo legga.

Col tempo ci sono sempre meno analfabeti, per fortuna. Una trasmissione come «Non è mai troppo tardi» alla fine degli anni sessanta non ha più senso, non avrebbe spettatori. Ed ecco allora che nasce un nuovo progetto adeguato ai tempi: tra il 1985 e il 1988, e poi tra il 2002 e il 2003, va in onda «Parola mia», gioco televisivo sulla lingua italiana condotto da Luciano Rispoli (morto di recente, il 26 ottobre 2016) e arbitrato da Gian Luigi Beccaria, Accademico della Crusca e dei Lincei. Protagonisti erano ragazzi delle scuole medie superiori, quindi con un buon bagaglio culturale e un buon possesso della lingua italiana. Nel programma si giocava con la lingua italiana. Tre rubriche: Conoscere l’italianoUsare l’italianoAmare l’italiano. Uno dei migliori quiz culturali prodotto dalla Rai, immagine di una televisione intelligente e garbata, dove i protagonisti erano sintassi, grammatica, neologismi, figure retoriche, parole difficili. I concorrenti dovevano cimentarsi in scrittura di brevi testi su un tema dato e nella realizzazione di slogan, rispondere a quesiti sulla provenienza di alcuni termini italiani o sul loro significato. Il premio finale non consisteva in soldi ma esclusivamente in libri, assegnati al concorrente che redigeva il miglior testo.

E veniamo ai nostri giorni. Per fortuna l’italiano non è più una lingua sconosciuta agli italiani, quasi tutti sanno leggere e scrivere, dal 2007 l’obbligo scolastico garantisce ai giovani 10 anni di istruzione. Siamo nella fascia alta dei paesi che più puntano sull’istruzione, la media mondiale è di 7 anni e 8 mesi. Ormai 60 milioni di italiani parlano e scrivono l’italiano, lo usano correntemente nelle più diverse situazioni comunicative. Ma sorgono altri problemi, problemi di qualità. Siamo incerti sull’uso della lingua, non conosciamo il significato di molte parole, se leggiamo un articolo di giornale spesso non ne capiamo a fondo il significato.

La televisione si adegua alla nuova situazione, nel 2008-2009 nasce «Mattina in famiglia» (RAI1)con Tiberio Timperi e conduttrici varie. Ogni domenica mattina Francesco Sabatini, presidente emerito dell’Accademia della Crusca, con Pronto soccorso linguistico «risponde a curiosità e risolve i dubbi degli ascoltatori sulla lingua italiana». Ecco i temi trattati domenica 15 gennaio 2017. È corretto scrivere  (con accento) per faccio? Come si spiega l’abuso di ne pleonastico in frasi come «Di questo ne parleremo dopo»? Si deve dire: «15 calci d’angoli» o «15 calci d’angolo»? Quale è l’origine delle frasi fatte che tanto spesso ricorrono nella nostra lingua: «mettere il carro davanti ai buoi», «tagliare la testa al toro», «essere tra l’incudine e il martello» ?

Per concludere. Nella loro diversa impostazione, le trasmissioni rispecchiano il mutare nel tempo delle condizioni linguistiche d’Italia. Negli anni sessanta molti italiani erano analfabeti. Oggi quasi tutti conosciamo e usiamo l’italiano, la sfida è usarlo in modo ricco e appropriato. La partita si gioca soprattutto nella scuola, la televisione è importantissima ma non basta. Ne riparleremo.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 22 gennaio 2017, p. 10]

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