Nei racconti le domande di intere generazioni

di Antonio  Errico

Forse fino al suo ultimo giorno, fino al suo ultimo istante, Jerome David Salinger ha odiato con tutto se stesso quell’insolente di Holden Caulfield. Perché lo aveva sovrastato, era riuscito a trasformarsi in persona ed a trasformare  in personaggio lui, proprio lui che lo aveva creato. Perché lo aveva costretto a nascondersi, a negarsi quasi a tutti, a inabissarsi in un silenzio ostinato.

Salinger è morto il 27 gennaio di dieci anni fa, dopo sessanta passati a scappare lontano da Holden. Ma più scappava e più Holden gli si gettava addosso.  Forse è andata così. Oppure forse è andata al contrario di così. Forse è stato Jerome a non volersi  staccare da Holden. Forse quanto più passava il tempo, più quel personaggio gli penetrava nello stomaco, nel cervello, e allora cercava di restare da solo con lui tutto il tempo che poteva: tutto il tempo che aveva.

Ma che gli sarebbe mancato lo aveva capito da subito, mentre lo creava parola per parola. Lo aveva capito e lo aveva anche detto, nelle ultime righe del romanzo. Aveva detto che sentiva la mancanza di tutti quelli di cui aveva parlato. Poi chiudeva così: “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti”.

Quando si racconta qualcosa a qualcuno, bisogna essere disposti a confrontarsi con la mancanza che sopravviene quando il racconto finisce. Perché il racconto, quello vero, il racconto che è capace di farsi universo concreto, è una comunione di esistenze. Prende storie e consegna storie, spesso le sovrappone, le confonde. Realizza spazi che comprendono luoghi veri e luoghi immaginari. Configura tempi che stringono in una sola frase, in una sola parola, passato, presente, futuro. Disegna personaggi che rassomigliano straordinariamente a qualcuno ma che non sono nessuno. 

Forse nella vita di Salinger a un certo punto si era spalancato un vuoto, si era squarciata quella cartilagine sentimentale che tiene insieme una creatura con le altre creature. Probabilmente, una volta finito il romanzo, tutto il mondo di quel romanzo si era disintegrato, si erano disintegrate tutte quelle anime che lo abitavano. Era rimasto soltanto quello sfrontato di Holden Caulfield a ricordargli che quel mondo era esistito. Ma quel mondo inventato e disintegrato era diventato il suo mondo reale, per cui l’altro non aveva nessuna importanza, e forse diventava anche noioso, fastidioso, insignificante, superfluo, meschino. Era diventato un mondo falso da cui tenersi lontano per poter avere l’impressione di trovarsi in quello vero, che si era costruito con le proprie mani, con la propria ansia.

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