di Antonio Errico
In quel pomeriggio di novembre del duemilatré, quando si accompagnò Aldo De Jaco al cimitero di Maglie, Rina Durante disse: adesso restiamo soltanto io e Giovanni. Poi, un anno dopo, se ne andò anche la Rina. Così restò soltanto Giovanni Bernardini. L’ultimo narratore. Il narratore che pensava – che forse ha pensato finché ha avuto un istante ancora, finché ha avuto un respiro ancora- nulla dies sine linea: mai un giorno senza una scrittura, senza una fila di parole. Perché bisogna scrivere ogni giorno. Con pacatezza oppure con furore, per sogno o per un bisogno, per una felicità o per un dolore. Ma bisogna scrivere ogni giorno.
L’ultimo narratore. Di quelli con il passo lungo, con il fiato forte. Di quelli che prendono una storia, una piccola storia, e la trasformano nella cattedrale di una narrazione. Uno di quelli che sanno capire a quale punto dell’intreccio bisogna dare la svolta, perché il narrato diventi inimitabile, irripetibile, definitivo. Giovanni Bernardini prendeva un microcosmo e lo trasformava in un universo illimitato. Prendeva una provincia e ne faceva la rappresentazione dei sogni e dei turbamenti di un’intera generazione che ritorna dalla Seconda guerra mondiale e vorrebbe dirsi qualcosa ma non sa che cosa dirsi, vorrebbe farsi delle promesse ma non sa che promesse farsi. Indugia e vuole fuggire. Sogna il futuro ma non sa recidere il vincolo con la terra, con l’origine, la storia, che non crede al destino ma lo accetta.
Giovanni aveva con la scrittura un rapporto assoluto. Ma senza un rapporto assoluto con la scrittura, forse si possono fare libri per il mercato, ma non robuste scritture destinate al tempo venturo. Lui se n’è stato sempre lontano dai mercati, perché cercava soltanto robuste scritture per il tempo venturo.
La prova dell’assolutezza, probabilmente è data dalla sperimentazione di varie forme di scrittura -la poesia, il romanzo, il racconto, il saggio, il pezzo di giornale, a seconda di come venivano i giorni e le occasioni – , dalle diverse direzioni di stile in poesia e prosa, fino ad arrivare alla dimensione onirica e visionaria delle poesie “per bambini”, che attraverso un pretesto di genere manifestano una poetica radicale, l’azzardo della metafora, l’avventura nel groviglio dei significati. La pluralità di forme della sua scrittura ha avuto il senso di un confronto con il tutto: con il suo mondo di dentro e con il mondo di fuori, con se stesso, con l’altro, con i sogni e le ragioni, con i compagni di strada, con i vivi, con i morti, con la sua giovinezza, con le lunghe ombre della sua vecchiaia.