A cinque anni dalla scomparsa di Mario Marti

Nel ’68, per esempio, fu su posizioni conservative, pur riconoscendo la giustezza di molti problemi sollevati dai contestatori; ma cambiò giudizio su alcuni di essi riconoscendo che non tutti erano dei pericolosi fannulloni come erano sembrati in quel periodo, ma che fra di essi c’erano anche fior di intelligenze. E gli stessi, che all’epoca lo avevano contestato, ne riconobbero l’altezza morale e la legittimità delle posizioni. Professore e contestatori si riconciliarono.

In questi anni spesso mi è venuto di chiedermi: chissà che cosa avrebbe pensato il Professore di questo e di quest’altro personaggio o evento. Me lo sono chiesto di recente per l’istituzione del Dante-dì, una giornata del calendario per ricordare ogni anno il “padre” delle lettere italiane, partendo proprio dal suo prossimo anniversario della morte, il settecentesimo, nel 2021. Dante era tra i suoi autori. Figurarsi, come l’avrebbe celebrato lui!

E’ mancato, come si diceva in apertura di ricordo, alla “compagnia” della Società di Storia Patria leccese, di cui era membro tra i più vicini e attivi. Non era mai retorico, ma alla sua italianità teneva molto, nei modi più discreti e sentiti, come teneva alla sua pugliesità e alla sua salentinità. Grande o piccola la patria non si può che amarla ed onorarla. Il suo intervento al Convegno per i Centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, nell’ottobre del 2010, “La poesia patriottica del Risorgimento italiano”, fu commovente.

Egli riteneva che tra i compiti dell’Università e dunque dei suoi uomini ci fosse quello di avere rapporti con l’esterno, con le istituzioni scolastiche, coi comuni, con le associazioni, coi circoli culturali, allo scopo di elevare la qualità dei rapporti sociali e del territorio. Ragione per la quale non si tirò mai indietro agli inviti che gli provenivano, portando il suo eloquio, ora alto e specialistico ora colloquiale e conversativo, a seconda delle situazioni, ovunque.   

Fu anche maestro di vita, anche per le cose che sembrano più ordinarie. Agli appuntamenti – diceva – non bisogna mai essere più di due se si vuole tenere una conversazione franca e proficua, altrimenti si può solo chiacchierare. Rispondere alle lettere, alla ricezione di un libro, di una rivista, di un giornale, era per lui un rito irrinunciabile. Non lasciava mai passare un solo giorno senza rispondere anche con poche righe scritte a mano o con più corpose considerazioni e riflessioni, con qualche annotazione critica. Che dimostrava che egli aveva preso in considerazione quanto gli era stato proposto a visione. La prudenza era la sua religione, che metteva sia alla base del suo metodo critico, dal certo al vero, sia alla base della vita, dei rapporti umani, dall’io al prossimo.  

[“Presenza taurisanese” a. XXXVIII n. 1 – gennaio 2020, p. 6]

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