John Fante e l’usciere di Hollywood


Ramirez parlava sette lingue, compreso l’italo-americano, ed aveva scritto un solo romanzo , ” Ti faceva paura il sangue?”, mutuando il titolo da una  reminiscenza di una poesiola infantile (“Tua madre ha ucciso il maiale ? Ti ha fatto paura il sangue?) Ma tutto questo non lo disse a John…. glielo disse solo dopo che divennero amici.

“Sì, caro amigo” – continuò  Ramirez  – “ da allora diventammo un tutt’uno io e John, due fratelli di sangue… Lui era uno  scrittore vero, di quelli che hanno bisogno di tempo per essere riconosciuti…  era un minimalista, ma  vedi, è propria questa la sua grandezza. I veri grandi sono i minori. Non è un paradosso, è una verità. Lui era come l’allodola greca, nata prima di tutte le altre creature, anzi prima della stessa terra, nata da un padre che morì di malattia quando la terra ancora non esisteva. Dopo cinque giorni di insepoltura, l’allodola seppellì il padre nella propria testa e amen. Es claroche la terra che non esisteva era l’America, mentre il padre, – che gli era morto addosso con la canottiera impregnata di vino e di sudore da scalpellino molisano  sempre incazzato –  era l’Italia.

“Molti scrittori americani – annota Capossela – hanno reso grande il mito dell’America asfaltandone le strade, cantando i posti di ristoro, gli occhi di marmellata delle cameriere, il fresco, la penombra dei bar prima dell’assalto della sera. Fante ha fatto tutto questo, ma, a differenza di Bukowskj, il Cristo che l’ha resuscitato in vita, ha conservato anche gli occhi italiani, occhi malinconici, occhi di sua madre, ostia sacra, sacrificio della carne della Famiglia”.

Ma quando John capì tutto ciò era troppo tardi ed ebbe un rammarico. Disse:  non diventerò mai grande come Lawrence Durrell, che pure ha un anno meno di me, né come Joyce , in grado di bere cinque pinte di birra e dodici bourbon senza batter ciglio… Mi supererà perfino il mio usciere di Hollywood  e sua cognata Gioconda Belli, una che  ha lavorato come copy-writer in un’agenzia pubblicitaria di Managua e ha dimostrato di essere donna con le palle. Mi sono  messo a fare il romanziere in un paese che ne annovera già tremilaseicento… Che disdetta!  Avrei dovuto fare il poeta… Cristo! A proposito di poeti, almeno potessi dimenticare quel dannato bastardo di Rapagnetta, che è della mia terra d’origine e mi ha rovinato l’esistenza… Macchè!… Ahimè, non ci riesco, è troppo grande letterato quel Rapagnetta là, il Vate… Ed io rimarrò per sempre un mezzo analfabeta, né carne, né pesce, un… Fante.

Ma quando smaltiva la sbornia – dice Ramirez – era dolce come il miele, e scriveva da dio, ma da dio minore, claro? … Prendi , ad esempio, “Chiedi alla polvere”. A me la sua scrittura mi fa lo stesso effetto che faceva a lui leggere Dostoevskij. Maccheroni riscaldati e bestemmie, il velo di caglio ossidato e la tazza iridescente del tè senza limone. La sua scrittura scioglie il nodo del risentimento, ti permette di abbracciare i tuoi vecchi nella loro disgrazia, nella loro miseria, nel loro decadimento …Io me lo ricordo, il vecchio John,  poco prima di morire , cieco e malato di diabete  che detta alla terza moglie il suo ultimo romanzo , “Sogni di Bunker Hill” . Lì c’è tutto il dramma e il destino degli immigrati  italiani in America… Sai che ti dico, amigo? A John voi italiani dovreste fare un monumento! Invece non sapete neppure chi è… Vergogna!… Beh, ora ti saluto… Devo andare a fare i campi”.

E così si allontanò dal bar e spari tra gli ulivi, con quel suo passo pesante che sembrava scavasse buche in terra. Poi lo rividi sul campo numero tre, con la rete e il rastrello che  passava e ripassava il terreno fino a farlo diventare liscio. Ma ci metteva troppo tempo a farlo e molti tennisti  preferivano farselo da soli. Allora lui si metteva seduto sui gradini e tirava fuori il suo sigaro, senza accenderlo. Se lo passava tra le dite e ogni tanto lo annusava e sospirava: “Ah, John, che grande scrittore sei stato!”.

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