Fa benissimo, dunque, Lucio Giannone a chiarire nelle prime due righe sull’itinerario di Girolamo Comi, che il poeta di Lucugnano occupa una posizione a sé stante nel panorama della letteratura italiana del Novecento. Non dice letteratura salentina, ma italiana.
Fa bene Simone Giorgino a far scorrere tra le righe della sua introduzione il sospetto che il riconoscimento dello spessore poetico di Vittorio Pagano sia stato in qualche modo impedito dal suo sporgersi sempre fuori dal quadro dei convenzionalismi sociali e letterari, quel suo essere dissipatore di sé, istrione, funambolo.
Traduttore grandioso fu, peraltro, Vittorio Pagano. Luigi De Nardis, nell’avvertenza alla sua traduzione dei “ Fiori del male”, risparmiò bacchettate sulle mani soltanto a quattro traduttori italiani: uno era appunto Pagano; gli altri si chiamavano Diego Valeri, Alessandro Parronchi, Mario Praz.
Allora, la proposta che fanno Giannone e Giorgino dell’opera in versi di Comi e di Pagano, non assume soltanto una funzione nel contesto della dimensione letteraria. Vorrei dire che si carica di una funzione sociale. E’ la valorizzazione di un bene culturale. Costituisce la testimonianza riferita ad una condizione intellettuale senza la quale il Salento non avrebbe la fisionomia che ha. Perché la nostra idea di Salento è determinata, consapevolmente o inconsapevolmente, dalla letteratura che è stata fatta e che si fa su questa terra. Pensiamo ad essa riferendoci alle figurazioni, e molto spesso anche alle parole, che per essa hanno usato Bodini, Comi, Pagano, Vittore Fiore, Giovanni Bernardini, Antonio Verri, Salvatore Toma, Donato Moro, Rina Durante, Luigi Corvaglia, Fernando Manno, Maria Corti, Carmelo Bene per le prime pagine di “Sono apparso alla Madonna”. (Dimentico qualcuno, probabilmente, e chiedo scusa).
In molte occasioni, in molte situazioni, le immagini del Salento che elaboriamo provengono dall’universo testuale di questi autori, dalle loro sintesi sostanziali, dalle loro espressioni formali, dalle tessiture culturali, antropologiche, sociali che hanno realizzato.
La funzione sociale di proposte letterarie come questa consiste nella possibilità che esse offrono di rintracciare gli elementi che annodano la letteratura e l’immaginario individuale e collettivo, la poesia e la forma di pensiero, la parola e il paesaggio.
Poi, si potrebbe dire della memoria. Probabilmente la memoria del Novecento salentino è sostanzialmente fondata sulla sua letteratura, per il fatto che l’opera in versi e in prosa è riuscita a contemperare finzione e storia trasformando i fatti in simboli, metafore, nuclei di senso. Ha avuto la sapienza di inserirsi nelle dinamiche degli avvenimenti e di interpretarli in una maniera tale da rappresentare un riferimento ineludibile, essenziale.
Allora per comprendere quelli che sono i significati radicali della civiltà di questo Salento, bisogna necessariamente indagare e comprendere i significati della sua letteratura. Altrimenti diventa tutto limitato, tutto sospeso in un vuoto di senso, tutto senza memoria, senza profondità, senza orizzonte.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 19 gennaio 2020]