di Gianluca Virgilio
Era il giorno del venticinquesimo compleanno di Serena. Alle dieci del mattino, saliva per Via Mazzini col rimorso di non aver dato in tempo gli ultimi esami e di non aver neppure cominciato a studiare per l’appello di marzo. Il corso di laurea in Scienze politiche non l’aveva mai entusiasmata. Le leggi, gli ordinamenti giuridici, i trattati internazionali, i sistemi economici non facevano per lei, ma ormai non poteva più tornare indietro: l’indomani avrebbe ripreso quello studio ingrato con la speranza di laurearsi quanto prima. Ma diceva così da mesi, e ogni giorno accadeva qualcosa che le faceva dimenticava il suo proposito.
Quel giorno Urbino risplendeva al vento di tramontana che aveva liberato il cielo da ogni nube, e s’illuminava al sole che annunciava già la primavera. Era una magnifica mattinata di marzo e a Serena quel cielo terso sembrava di buon augurio per il suo compleanno.
Baldelli accolse festoso Serena al suono della fisarmonica, uscendo dall’osteria di Cecconi. La studentessa sorrise, come sempre sorrideva al vederlo, perché Baldelli le ispirava simpatia. Pensò che per lei stava iniziando un’altra giornata inutile, lontana dalla casa in campagna dove i libri giacevano chiusi sul tavolo, custoditi dalla presenza muta di Furio, che in quella stanza era intento a scrivere la tesi di laurea. Quella casa l’avevano scelta insieme, sette mesi prima, all’inizio di settembre, lontano da Urbino, sulla strada di Bocca Trabaria, nel folto d’un castagneto: Furio per stare solo con lei e con la sua tesi, lei per fuggire Placido, per non rivederlo più, per tentare una buona volta di dare gli ultimi esami. Ma di esami, da settembre in qua, Serena non ne aveva sostenuto neppure uno, e quasi ogni giorno, appena sveglia, percorreva la stradicciola sassosa che dalla casa portava sulla strada principale, faceva l’autostop e trovava sempre qualcuno che le desse un passaggio fino a Piazza Mercatale.