di Antonio Errico
Se chi comincia a leggere queste righe non ha imparato a memoria almeno una poesia di Gianni Rodari negli anni che andava alla scuola elementare, probabilmente si fermerà qui dove si trova. Gli altri forse continueranno, perché, consapevolmente o inconsapevolmente, le prose e le poesie di Gianni Rodari hanno conformato il loro immaginario, hanno determinato una certa tendenza a trasformare il mondo in una favola e ad incastrare la favola nella realtà. Almeno di tanto in tanto. Almeno quando il mondo sembra troppo pesante per portarlo sulle spalle, almeno quando l’aria sembra che si faccia irrespirabile, o quando le cose che si devono fare trasformano il respiro in un affanno. Allora loro applicano quella grammatica della fantasia che Gianni Rodari teorizzò.
Il 2020 sarà l’anniversario dei cento anni dalla nascita e dei quaranta dalla morte di questo intellettuale troppo spesso confuso tra gli autori per l’infanzia, ammesso, poi, e non concesso che esistano gli autori per l’infanzia. Alla fine della Seconda guerra mondiale cominciò a collaborare con l’ “Unità” e “Paese sera”. Per qualche anno fece il maestro elementare. La scuola italiana può vantarsi di aver avuto maestri elementari che si chiamavano, per esempio, Giorgio Caproni, Leonardo Sciascia, Giuseppe Galasso. Ma soprattutto può vantarsi di tutti quei maestri elementari che, nel loro elegante anonimato e con l’appassionato lavoro di ogni ora, hanno fatto l’Unità d’Italia.