Il più grande dei crimini

D’altra parte, osservando i conflitti in corso possiamo notare che il modello classico di conflitto, dove vi è una dichiarazione di guerra alla quale segue una guerra e successivamente i trattati di pace o comunque la fine delle ostilità, non è più attuale. Molti dei conflitti sono scontri interni a uno Stato ai quali partecipano, ufficialmente e spesso ufficiosamente, altri paesi e altri attori che rappresentano interessi economici e finanziari. Tali conflitti sono quindi di difficile lettura a partire dalle vere cause del conflitto, all’individuazione dei reali soggetti in campo, da chi sono gli aggressori a chi sono gli aggrediti. Anche perché sono coinvolti eserciti regolari, ma anche paramilitari, mercenari, organizzazioni criminali, servizi segreti.

Ciò che più sorprende è che non vi è un legame automatico tra violenza del conflitto e pubblicità dello stesso. Vi sono conflitti dimenticati anche se hanno provocato milioni di morti e durano da decenni, primo tra tutti quello in Repubblica Democratica del Congo ove si stima ad almeno 3 milioni il numero di morti. Ma non è il solo, non sapremo mai quanti morti hanno provocato i conflitti nel Sahel e in Myanmar. Questi conflitti hanno provocato e provocano anche milioni di sfollati e quindi di candidati ad emigrare anche verso l’Europa e ciò avviene senza una sufficiente copertura mediatica.

Dobbiamo prendere atto che come abbiamo tante esistenze ritenute “superflue”, almeno un miliardo dei più poveri al mondo, così abbiamo tanti morti che non meritano alcuna attenzione, che tra l’altro spesso fanno parte della stessa fascia discriminata: i più poveri tra i poveri.

Il silenzio su un conflitto non ha solo la conseguenza di non farlo conoscere al resto del mondo, ma anche quello di renderlo più cruento e duraturo. Dobbiamo però osservare che anche quando si parla di un conflitto, di un attentato, se commesso lontano da noi, spesso ci lascia indifferenti. Ma anche nella parte più fortunata del mondo vi è indifferenza verso le tragedie delle fasce più povere della popolazione. Il fenomeno però non deve stupirci più di tanto, in Italia e nell’intera Europa, chi è favorevole alla pace, alla convivenza civile ad una società più umana, è definito “buonista”, ossia un imbecille o peggio ancora chi ostenta una bontà pelosa ossia falsa. Pertanto, il buonista è considerato un debole, un perdente. Secondo questa concezione il dialogo è superfluo, quindi non resta che il conflitto. Ovviamente chi è favorevole al conflitto, non deve argomentare le sue scelte, basta qualche slogan. Questi sono i presupposti che fanno nascere il fascismo e la legittimità della guerra.

Quando ero ragazzo la mia generazione o meglio una parte della mia generazione, credeva di avere la missione di creare un mondo migliore, idea ben presto abbandonata dagli stessi “buonisti”, ma ora le attuali generazioni dovrebbero darsi un compito molto più gravoso: evitare la disintegrazione del mondo. Ritengo che sia ancora necessaria una lotta quotidiana in difesa della democrazia, dello Stato di diritto, dell’ambiente e soprattutto della dignità umana e che sia preferibile un po’ di disordine all’ingiustizia perenne.

                                                                                 


[1] https://www.osservatoriodiritti.it/2019/06/14/guerre-dimenticate-in-africa-in-asia-nel-mondo/

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