di Walter Nardon
Dal tempo in cui abbiamo cominciato ad affidare alla scrittura il compito di conservare una serie di informazioni utili, la lettura è diventata un’operazione indispensabile per riconoscerci – quando leggiamo ciò che abbiamo scritto – e per conoscere gli altri attraverso i loro segni, e noi in relazione a loro, in tutti gli altri casi. Si tratti della lista della spesa o di un’e-mail, leggendo torniamo talvolta allo stato d’animo che ha favorito la scrittura di quelle parole; indaghiamo gli affetti degli altri nel tono della scrittura, in certi casi interrogandoci insistentemente sulle ragioni di una chiusura affrettata, o di una risposta rigidamente formale. La lettura di una lettera è stata spesso fonte di tormento, più che di gioia; ed era un’attività frequente. Tralasciando i romanzi epistolari e prendendo un titolo famoso, in Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, fra quelle citate e quelle di cui si fa solo menzione, si possono contare più di quaranta lettere. In certi contesti la comunicazione scritta occupava uno spazio consistente del quotidiano. Anche limitandoci al solo XX secolo, nell’epoca anteriore alle e-mail, agli sms e alle chat sui social – ossia fino alla seconda metà degli anni Novanta – ore intere venivano occupate da un’ermeneutica insidiosa a volte oltre il limite del grottesco, prima che qualcuno si decidesse a prendere in mano il telefono per cercare un chiarimento in merito alla lettera aperta sul tavolo, si trattasse di affari o di amore.