di Antonio Errico
Il primo giorno di gennaio del 1921, Giuseppe Prezzolini annotava: “Queste divisioni di anni non contano, perché il tempo non si spezza e le persone restan le stesse. Ma servono alle volte come di sosta per guardare indietro e orientarsi”.
Scientificamente, esistenzialmente, Giuseppe Prezzolini aveva ragione: le divisioni non contano, il tempo non si spezza, le persone restano sempre e comunque quelle che sono, anche se a volte vorrebbero essere diverse.
Certo, abbiamo inventato gli orologi, le agende, i calendari, per avere l’illusione di controllare il tempo, di governarlo. Abbiamo elaborato, in ogni civiltà, in ogni luogo, rituali per sedurre il tempo, o per assecondarlo. Ma resta il fatto che il tempo è flusso ininterrotto, e va per dove e come deve andare, e non s’importa delle nostre adulazioni, delle nostre paure, e non si fa sedurre, non si fa assecondare. Il tempo che va e il tempo che viene è separato soltanto dal pensiero che al suo andare e venire dedichiamo. Niente di più e niente di meno. Non è altro che un respiro impercettibile del tempo infinito che si manifesta con le sembianze che ci sono consuete, famigliari.
Vogliamo fare differenze fra un anno che va e un anno che viene; vogliamo rifiutare il vecchio, accogliere il nuovo, far cadere la pagina dell’ultimo mese dal calendario, disfarci dell’agenda, ricominciare daccapo. Come se fossimo aggrediti da un’ansia di trasformarci, di cambiare. Ma il tempo non si spezza, e noi restiamo sempre uguali.