Dell’inchiesta Consip, che lambisce pericolosamente il “Giglio magico” renziano, all’inizio ha parlato solo “Il fatto quotidiano”. Il ministro allo Sport Lotti, già sottosegretario con delega ai servizi segreti, è stato prepotentemente chiamato in causa nell’inchiesta perché avrebbe rivelato informazioni riservate: rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento sono le ipotesi accusatorie a suo carico. Nell’inchiesta viene chiamato in causa anche Luigi Vannoni, Presidente della fiorentina Publiacqua e altro fedelissimo di Renzi, che lo ha voluto a Roma con lui con un incarico alla segreteria di Palazzo Chigi. Viene anche chiamato in causa il capo dell’Arma dei Carabinieri Generale Del Sette. Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip accusa Lotti e Del Sette di averlo avvertito dell’indagine in corso a suo carico. L’inchiesta è stata rivelata per la prima volta da Marco Lillo in un articolo del “Fatto”. Ma i giornaloni nazionali e i telegiornali hanno ignorato il problema fino a quando non è diventato di macroscopica evidenza, con la richiesta di dimissioni del Ministro Lotti e una sfiorata crisi di governo. Solo allora i tg della Rai hanno acceso i riflettori sulle grane giudiziarie del “Giglio tragico”.
Gianluca Semprini conduttore di “Politics” Raitre, getta la spugna. La sua trasmissione è stato un flop negli ascolti e il giornalista sconsolato ha ammesso il fallimento nell’ultima puntata del programma. Mancava poco che si suicidasse in diretta come Howard Beale, il giornalista del film “Quinto Potere”. Povero Sempri!
Matteo Renzi, rieletto segretario del Pd. Il Renzaccio brutto di Pontassieve gongola, non lo dice ma è chiaro che nutre sentimenti di rivalsa nei confronti dei tanti detrattori che in questi ultimi mesi hanno tentato di affossarlo. Renzi ha sbaragliato la concorrenza e si è ripreso quel trono avito dal quale a malincuore era sceso all’indomani della sonora bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre. Trombettieri suonano e gli sbandieratori sventolano, i corifei applaudono e la corte sfavilla di luci e colori, il re è tornato, si aprono le danze, i nani saltano sulla schiena dei giganti, frombolieri sparano mortaretti e le ballerine lanciano cotillon. Tutto bene quel che finisce bene, come nella più classica delle favole. Però bisogna dire che quello uscito dalle primarie Pd è un Renzi quasi dimezzato, un “Ren”, diremmo. Prima di tutto perché, obbiettivamente, vincere contro Orlando e Emiliano, non è una grande cosa, perfino il Gabibbo ce l’avrebbe fatta. E poi Renzi prende quasi 500.000 voti in meno rispetto alle primarie del dicembre 2013 e l’affluenza alle urne è stata di un milione in meno, quindi il 30% circa, rispetto al 2013. A occhio e croce, Ren è lontanissimo oggi da quel prodigioso 41% preso dal Pd alle Europee di due anni fa. C’è una forte disaffezione da parte degli elettori Pd che riflette quella più generale degli elettori italiani. Speriamo che il neo segretario se ne renda conto. Il Pd ha subito una dolorosa scissione interna con i vecchi dinosauri dalemiani e bersaniani che insieme ai giovani vecchi speranziani hanno deciso di fondare un loro partitello, l’ennesimo della ingloriosa storia dei cespugli in politica. Matteo non controlla più tutto il partito e la dolorosa battuta di arresto gli ha fatto abbassare le ali. La sua proverbiale arroganza è stata innaffiata dalla doccia fredda subita ed ora, sebbene vincitore, gira meno fiero e impettito degli inizi.
Aprile 2017