di Paolo Vincenti
“Non si può mandare a quel paese chi non è cortese
e andare a cena fuori… più di una volta al mese
e non badare a spese non si può
a meno che tu non sia…
il Presidente del Consiglio o sua figlia o suo figlio,
il Ministro degli Interni o sua moglie e tutti i suoi fratelli,
l’allenatore della nazionale o meglio ancora il cardinale”
(“Barabba” – Fabrizio Moro)
Il sistema di potere della Seconda Repubblica si è rivelato per quello che era, corrotto fino al midollo, respingente, odioso, ancor di più che in passato, e questo ha fatto montare una rabbia inesplosa che ha portato alla sfiducia totale, al disincanto, al menefreghismo, alla rassegnazione. Su quest’ondata di malcontento sono affiorati i populismi, prima quello della nuova Lega a conduzione Salvini, un populismo ancora imperfetto, perché in parte istituzionale, la Lega è stata al governo di questo paese per anni e anni, dunque un ribellismo più di facciata, annacquato, per quanto di successo. E poi, il populismo perfetto di Grillo e dei Cinque Stelle. Nel vaffanculo del comico genovese, molta parte dell’elettorato si è riconosciuta e dalla sua politica non politica si è sentita rappresentata. Con il crollo delle ideologie, il tramonto dell’occidente sclerotizzato, non è restato che l’assenza di prospettiva, il vuoto di idee, il disfattismo degli arruffapopolo che hanno prontamente riempito quel vuoto con la loro vibrante e inconcludente protesta. L’horror vacui di certa parte del popolo italiano ha sancito il successo dei Pentastellati.