di Paolo Vincenti
In televisione e sui mezzi di informazione, sempre più spesso si sentono parlare i vegetariani, ossia coloro che non mangiano carne, e anche quelli fra loro che vengono definiti “vegani”, ossia i fanatici del vegetarianismo. Prima di informarmi sulla etimologia della parola “vegani”, credevo che essi si autodefinissero in questo modo perché tributari ai cartoni di Goldrake della loro ispirazione mistica o che addirittura si professassero alieni provenienti dal pianeta Vega e quindi obbligati ad un certo tipo di alimentazione biologica. Invece il termine “vegan” è una contrazione di “vegetarian” e stava ad indicare, nelle intenzioni del suo creatore, Donald Watson, tutti coloro che non facevano uso di latticini. Oggi è diventata una vera filosofia di vita e gli adepti del veganismo si astengono rigorosamente da tutto ciò che è di derivazione animale. Ma dico io, vegani, vegani! Come fate a non riconoscere il fatto che gli animali siano fatti per essere ammazzati? Non tutti, certo, ma una buona parte. È nella natura, come è nella natura che gli umani abbiano bisogno di una alimentazione variegata e completa per poter vivere bene. Certo, migliaia di studi cercano di dimostrare che una alimentazione a base vegetariana sia benefica (basterà citare il guru dei vegetariani, professor Veronesi, e ogni resistenza crolla come le porte di Gerico), e io certo non li ignoro. Ma quand’anche ciò fosse corretto e dimostrato scientificamente, vogliamo almeno ammettere che privarsi di certi piaceri renda gli erbivori più tristi, e financo tetri, rispetto ai carnivori?