Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XX

di Gianluca Virgilio

Sottolineature. Leggo un vecchio libro di Gaetano Salvemini tratto dalla libreria di mio padre, un libro pieno di sottolineature e con qualche postilla di sua mano. Quand’ero ragazzo tutte quelle righe in rosso che lui faceva mi davano fastidio, mi sembrava  ch’egli rovinasse i libri, che mai e poi mai sarei riuscito a leggere.  Ma il tempo è passato, ed anche i giudizi degli uomini cambiano. Ora le sottolineature mi fanno compagnia, la compagnia di mio padre; come se leggessi Salvemini due volte, una coi miei e un’altra con suoi occhi.

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Classico. Che cosa sia un classico, lo spiega molto bene Thomas Mann, Discorso su Lessing, in Nobiltà dello spirito, Mondadori, Milano 1997, p. 5: “Classico come lo vogliamo intendere ora non è ciò che vale da generale modello [“Vorbild”], benché abbia a che fare con ambedue gli elementi che compongono tale parola, tanto con il Vor [“prima”] quanto con il Bild [“immagine”]. Classico, infatti, è il tipo formato in precedenza [“das Vorgebildete”], l’iniziarsi di una forma di vita spirituale attraverso l’elemento individuale vivente; è un tipo originario atavico in cui la vita ulteriore si riconoscerà e sulle cui orme procederà: è dunque un mito, giacché il tipo è mitico e l’essenza del mito è ritorno, atemporalità, perenne presenza. Soltanto in questo senso il classico è modello, non nell’accezione di vacua esemplarità normativa.”

In un classico manca dunque ogni intento normativo, sebbene i retori ad esso riconducano ogni regola. Questo spiega perché ogni imitazione di un classico non può che produrre scimmiesche ripetizioni.

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Il tempo. Quel che distingue un uomo da un altro uomo è il tempo. Ognuno di noi vive una porzione di tempo, che è tutta sua, e non si confonde con quella di nessun altro. Se è possibile che altri individui sulla Terra siano nati nello stesso preciso istante in cui sono nato io, reputo veramente impossibile che gli stessi individui moriranno nello stesso preciso istante in cui morirò io. Se ciò dovesse inopinatamente accadere, sarebbe un caso, che non fa testo. Da ciò deduco l’inevitabile distanza / separazione tra uomo e uomo. Ciascuno vive il / nel suo tempo, diverso da quello di tutti gli altri uomini, anche dei cosiddetti coetanei. E se è vero che tutti noi siamo d’accordo su come scandire il tempo, esso rimane sostanzialmente diverso per ciascuno di noi. Ricordo un mio sentimento di tanti anni fa, quando avevo all’incirca 25 anni, un sentimento che continuo a provare quando vedo avanzare una dopo l’altra le nuove generazioni, che si sostituiscono alle vecchie; un sentimento di estraneità rispetto a queste nuove generazioni che vivono un tempo diverso dal mio, che si interseca col mio per tratti più o meno grandi. A 25 anni, tornato dal militare a Galatina, mi sembrava di non conoscere più nessuno in giro per la città, dove solo pochi anni prima tutti mi erano amici. E che dire oggi del senso di solitudine e di estraneità che mi coglie solo facendo una passeggiata nelle strade della “mia” città?

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