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Eros. Scena di grande erotismo in Ivo Andrić , Mara la concubina, in Romanzi e racconti, Mondadori, Milano 2001, pp. 1036-37: “Sull’imposta di legno della bottega, tra i filoni di pane e i vassoi di pita e carne, c’era sua [del vecchio Ilija] figlia Mara. In ginocchio e puntandosi su un braccio, tendeva l’altro per afferrare una teglia. Quando udì le grida dei soldati e lo scalpitio dei cavalli, sollevò la testa. Il pascià la sorprese in quell’atteggiamento, protesa in avanti, quasi sdraiata. Per un istante fissò il suo largo viso infantile e i suoi occhi sereni.
Quando nel pomeriggio passò di lì a cavallo, il forno era deserto e sullo sgabello sonnecchiava un gattone bianco dal pelo bruciacchiato.
Ordinò di trovare la ragazza e di portargliela.”
Una ragazza inginocchiata che cerca di afferrare una teglia: è difficile dire in che cosa consista davvero l’erotismo di questa scena di apparente vita quotidiana (l’eros che si manifesta nella prassi insignificante della quotidianità). La posizione di Mara: testa sollevata e volta verso l’uomo, di cui ha sentito il sopraggiungere, braccio puntato per terra a sostenere il busto proteso in avanti, l’altro proteso a prendere la teglia, in ginocchio, dunque, “quasi sdraiata”: in questa posizione dinamica, per quanto molto precaria, che dura un attimo indimenticabile, Mara incrocia gli occhi del pascià, del dominatore, del suo prossimo rapitore. In quell’incrocio di sguardi nasce il desiderio del pascià, che nel pomeriggio l’assenza di Mara farà deflagrare. Ma l’accensione è data dalla postura del corpo di Mara. Il suo corpo ha il linguaggio del desiderio; essa non è semplicemente l’oggetto del desiderio, come di primo acchito si potrebbe pensare, ma è la personificazione del desiderio, corpo desiderante che incontra un altro corpo desiderante. Così si compie la tragedia dell’eros.
Non c’è alcun moralismo nel racconto di Andrić , né un punto di vista determinato, ma solo la visione di un istante, una postura, uno sguardo, un’assenza, l’eros che impazza: esempio sommo di letteratura erotica.
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L’io. Riflessione di Ivo Andrić sull’io, in La corte del diavolo, in op. cit., p. 1357: “(Io! – Parola grave, che agli occhi di coloro di fronte ai quali è pronunciata, fissa il nostro posto, fatale e immutabile, spesso molto al di là o al di qua di ciò che sappiamo di noi stessi, al di fuori della nostra volontà e al di sopra delle nostre forze. Parola terribile che, una volta pronunciata, ci lega per sempre, identificandoci con tutto quello che abbiamo immaginato e detto e con cui non ci siamo mai sognati di identificarci, ma che, nel nostro intimo, fa da tempo tutt’uno con noi.”
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Finitudine. Altra citazione, un aforisma, da Ivo Andrić , Segno lungo il cammino, in op. cit., p. 1425: “Non è grave il fatto che tutto passi ma che noi non si sia capaci di accettare questa verità semplice e ineluttabile”.
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Stile epistolare. Sullo stile epistolare, oggi così poco praticato, si esprime molto bene Stendhal, ne Il laboratorio di sé. Corrispondenza (1880-1806), Nino Aragno Editore, Torino 2016, p. 6. La lettera alla sorella Pauline è del 10 aprile 1800: “Ma scommettiamo una cosa: tu pensi che occorre preparare la tua lettera e abbozzarne una copia. E’ la mania più sciocca che si possa avere, perché per avere un buono stile epistolare bisogna scrivere esattamente ciò che si direbbe alla persona se la si vedesse, avendo cura di non scrivere delle ripetizioni a cui il tono della voce o il gesto potrebbe dare qualche pregio nella conversazione.”
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Gli artisti sono incapaci. Che cosa vuol dire Thomas Mann quando in Lettere dalla Germania, in Nobiltà dello spirito, cit., p. 1537, scrive: “… ciò di cui non si è capaci, quella è l’arte.”? Vuol dire che l’esser capaci di fare qualcosa non ha nulla a che vedere con l’arte, poiché tale capacità assicura la realizzazione di un’opera ma non il suo valore artistico. Solo l’incapacità di fare un’opera qualsiasi, un’opera riconoscibile per la sua immediata utilità, può decidere il destino di un artista e indurlo a dedicarsi finalmente alla sua opera. Infatti, tutti, chi più chi meno, sono capaci, ma pochissimi sono gli artisti. Pertanto, è giusto dire che gli artisti sono degli incapaci.
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Alberi. Sei triste, ti assale la malinconia? Esci di casa e vai in campagna, dove ci siano gli alberi: “E’ tra gli alberi che l’uomo è più felice” scrive Stendhal alla sorella Pauline da Parigi, 28 ventoso 11 [19 marzo 1803] in Epistolario, cit. p. 102. E’ la felicità di chi torna alle origini, all’antica selva da cui un tempo uscimmo per edificare le città, dove viviamo rinchiusi come carcerati.
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Proverbio salentino: “La vulia quantu chiù pende tanto chiù rende”, raccolto dalla viva voce di un produttore di olio. Il detto rammenta che solo l’oliva matura produce molto olio. Ma l’uso metaforico non mi dispiace: un invito a non precipitare gli eventi e a saper attendere.
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Eris, la Discordia. Scrive F. Nietzsche, Agone omerico (1872) in La filosofia nell’epoca dei greci e scritti 1870-1873, trad. di G. Colli, Adelphi, Milano 1990, p. 284 : “ ‘Sulla terra ci sono due dee chiamate Eris’. Questo è uno dei più notevoli pensieri greci: esso è degno di venire inciso per la posterità proprio sulla porta d’ingresso dell’etica greca. ‘Se si possiede intelletto si dovrebbe altrettanto lodare l’una di queste Eris, quanto biasimare l’altra: queste due dee hanno infatti un’indole completamente diversa. L’una favorisce invero la brutta guerra e la rissa: dea crudele! Nessun mortale può tollerarla, ma sotto il giogo della necessità si dimostra tuttavia onore alla gravosa Eris, secondo il decreto degli immortali. Essa, che è più vecchia, ha generato la nera morte; l’altra invece è stata deposta da Zeus, l’alto dominatore, nelle radici della terra e fra gli uomini: essa è molto migliore. Questa seconda Eris spinge al lavoro anche l’uomo inetto; e quando qualcuno che non possiede nulla guarda un altro che è ricco, egli si affretta allora nello stesso modo a seminare, a piantare e a mettere bene in ordine la casa; il vicino gareggia con il vicino che tende al benessere. Buona è questa Eris per gli uomini. Anche il vasaio è astioso verso il vasaio, e il carpentiere verso il carpentiere; il mendicante invidia il mendicante, e il cantore il cantore.’ (Esiodo, Opere e giorni, vv. 11-26).”
Molto utile per capire bene i rapporti tra gli uomini.
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Donne albanesi: “… le donne albanesi sono molto belle e hanno gli occhi neri, la pelle bianca e le labbra rosse…”, scrive Ugo Ojetti in Albania, Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, Torino 1902, p. 123.
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Cristianesimo secondo B. Russell, Elogio dell’ozio, Longanesi e C., Milano 1974, p. 145: “Si pensa di solito che il cristianesimo sia antindividualistico perché predica l’altruismo e l’amore del prossimo. Ma questo è un errore psicologico. Il cristianesimo si appella all’anima individuale e dà risalto alla salvezza personale. Se un uomo fa del bene al suo prossimo lo fa perché pensa sia giusto per lui agire così, e non perché si senta istintivamente parte di un gruppo.”
Utile per capire le credenze che regolano i rapporti fra gli uomini.
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Ebraismo e cristianesimo secondo B. Russell, Elogio dell’ozio, cit., p. 149: “Gli ebrei furono i primi a sostenere che una sola religione deve essere la vera, ma non avevano intenzione di convertire il mondo intero e perciò si limitavano a perseguitare altri ebrei. I cristiani, perpetuando la fede ebraica in una rivelazione speciale, vi aggiunsero l’ambizione romana di dominare tutta la terra e il gusto greco per le sottigliezze metafisiche. Questa fusione produsse la religione più intollerante che il mondo abbia finora conosciuto.”
Utile per capire come si formino le credenze che regolano i rapporti tra gli uomini.
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Il tempo che passa. A Salerno ho trascorso il febbraio del 1988. Vi ero stato destinato con cartolina precetto per l’addestramento militare (il CAR). Ogni sera uscivo con i commilitoni per le strade della città, che presto mi erano divenute familiari. Ritornatoci dopo trent’anni in occasione di una gita famigliare, non ne ho riconosciuta neppure una. Il lungomare ha subito una radicale ristrutturazione, Corso Vittorio Emanuele è diventato un’isola pedonale piena di negozi alla moda, Via dei Mercanti, Via Tasso, chi se le ricordava più? Me stolto: come potevo credere che dopo trent’anni qualcosa fosse rimasto uguale?
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Passeggiata a Sorrento, città trafficatissima, anche nella bassa stagione. Il privato qui signoreggia sul pubblico. Solo brevi tratti della costa sono accessibili al visitatore povero, sicché si passeggia in stradine strette e affollate, spazi superstiti lungo la sequela di accessi favolosi a ville e hotel di lusso, entro i quali scompaiono vip d’ogni nazione. La visione del paesaggio da cartolina è limitatamente concessa ai visitatori poveri, che possono sempre accedere agli innumerevoli negozietti di cianfrusaglie!
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Credenze. La massaia di Vietri incontrata dal fruttivendolo rimprovera bonariamente il bambino travestito da diavoletto che, mentre lei fa la spesa, entra nella bottega annunciandosi con le magiche parole “dolcetto, scherzetto”: “Sappi però che oggi non c’è nulla da festeggiare…”. Il 31 ottobre i cristiani non festeggiano Hallowin. Il fruttivendolo continua a servire la donna e intanto dona al ragazzetto qualche caramella per levarselo di torno.
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Diseguaglianza. Leggo ne “Il manifesto” del 3 settembre 2017, p. 12, che la famiglia Benetton possiede in Argentina 844.200 ettari di terra, a cui si aggiungono 80.000 ettari di concessioni minerarie. Non mi piace fare i conti in tasta alla persone, ma dal momento che sulla Terra siamo circa 8 miliardi di persone, non è un po’ troppo per una sola famiglia?
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Scuola. In classe, durante il compito d’italiano, all’improvviso, rompendo il silenzio nel quale i miei studenti erano intenti a scrivere, ho detto: “Come mi piacete quando scrivete!”. “Perché, prof”, ha detto qualcuno, “forse perché stiamo tutti zitti?”. “No”, ho risposto, “perché vi vedo concentrati, pensosi ed impegnati, a tu per tu con voi stessi, e questo vi fa onore”. L’adolescenza, soprattutto quando è seria, va ammirata e lodata.
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Autobiografia. Scrive Thomas Mann, Goethe e Tolstoj, in Nobiltà dello spirito, cit., pp. 131-132: “Tutti coloro i quali, amando se stessi, essendo “egocentrici”, hanno inteso il proprio io come una missione culturale, e per attuare questa si sono sottoposti a pene e fatiche, hanno finito poi con lo svolgere sempre anche un’efficace azione pedagogica sul mondo esterno, e si sono trovati ad assumere l’alto ufficio di educatori di uomini e di guide della gioventù. E, poiché lo si raggiunge soltanto quando la vita tocca il suo culmine, il momento in cui si perviene a questa consapevolezza è, nella vita dell’uomo creativo, il più alto. E forse non è mai possibile prevederlo né presagirlo. Il “povero diavolo” autobiografico, intento solo, fin dall’inizio, alla coltura già abbastanza faticosa del suo orticello o, in termini religiosi, alla salvezza e giustificazione della propria vita, non avrà certo mai presunto di “potere una volta insegnare qualcosa per migliorare e ravvedere gli uomini”. Ma viene il giorno in cui, con stupore ancora incredulo, egli si accorge che, mentre imparava, insegnava; che per mezzo del linguaggio, di quello strumento di civiltà pieno di Eros che lega tutti gli uomini, egli ha formato, guidato, educato, ha improntato del suo spirito delle giovani vite.”
La vera fonte della pedagogia non è dunque nei manuali, bensì nel proprio individuale impegno di “uomo creativo”. Accade naturalmente di insegnare agli altri solo quando ci si è sottoposti a quello che chiamerei il duro esercizio autobiografico, che consiste nel mettere in gioco il proprio io, a costo di apparire egocentrici e narcisisti, cercando le ragioni della propria vita, il senso del vivere. Questo esercizio autoreferenziale può rimanere sterile (questo è il rischio di ogni esistenza), ma, se lo si riconosce come solo propedeutico, allora esso diventa fonte di sapere utile soprattutto agli altri. I giovani amano l’adulto che ha fatto e continua a fare i conti con se stesso, non quello che ha smesso di imparare.