Ripensare Castromediano

Le Memorie del Duca di Cavallino sono al centro dell’indagine di quasi tutti gli interventi, perché lì è contenuto il senso unitario dell’intera vita dell’autore. Non a caso Giannone lo ha definito ”il libro di una vita”.  La descrizione della condizione carceraria era di fatto una denuncia oggettiva, per questo minutamente documentata, degli arbitri e aberrazioni di un potere che usava la politica non per sanare i mali sociali ma per acuirli. In questo senso il carcere era lo specchio non della società ma dello Stato. Era contro questo sistema politico, non tramontato con la fine dei Borbone né con la nascita dell’Italia unita, che il ‘vecchio’ Castromediano sente il dovere di lasciare la sua testimonianza.

In un ampio e ricco saggio Roberto Martucci porta con mano il lettore a chiedersi perché a fronte di responsabilità modeste nelle manifestazioni del  ‘48 salentino, Castromediano subisca una condanna a trent’anni di galera. Tanto più che autorità politiche e militari fecero di tutto perché egli si sottraesse all’arresto, con lusinghe e profferte di fuga sicura. Castromediano attese per oltre un mese prima di essere arrestato. Se poi si guarda ai grandi romanzi, da I Viceré di De Roberto a Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, e alle figure che hanno incarnato il ruolo politico della nobiltà meridionale nel processo di unificazione, si può dire che Castromediano rappresenti l’esatto contrario. Egli contrappone all’arbitrio e alla corruzione del potere borbonico la coerenza e la dignità di un agire politico su cui edificare la società civile nuova, tesa al futuro non come utopia irrealizzabile, ma come costruzione graduale, moderata, giusta. Si può facilmente comprendere quanto intollerabile risultasse per la monarchia borbonica, che a  sostenere simili idee fosse il discendente di una delle più antiche famiglie del regno. E tuttavia, a lui fu risparmiata la sorte toccata invece, cinquant’anni prima, a Eleonora Pimentel Fonseca. Ma i tempi erano cambiati.

Nella realtà arretrata del Mezzogiorno, dove la cultura era guardata con sospetto e la coscienza individuale era controllata da un clero fanatico e corrotto, le idee del liberalismo potevano attecchire e diffondersi solo se incarnate in personalità  dalla probità e coerenza cristalline. Da modelli di santità laica. Questo dovevano testimoniare le sue memorie. Questa era la linea di frattura con il passato regime borbonico. Ma era anche la personale linea di continuità tra la passata nobiltà della famiglia e la nobiltà nuova della cittadinanza italiana.

L’edizione critica delle Memorie, che Fabio D’Astore ha giudicato “indifferibile”, e una raccolta il più completa possibile delle lettere, potranno aiutare a rispondere in maniera più documentata al perché Castromediano attese più di trent’anni per la loro pubblicazione. Non si dovrà dimenticare, tuttavia, che egli era animal politicum e valutava in questo senso anche le iniziative culturali. Che cosa intendesse per politica, lo chiarì nell’intervento parlamentare del 15 marzo 1862, opportunamente citato da Salvatore Coppola ( “… L’opposizione sistematica è faziosa, ed io non sono di nessuna fazione, di nessuna consorteria: sono italiano anzitutto, amo anzitutto l’Italia da noi raggranellata…”). Questo, per non incorrere nel facile errore di attribuire carattere ideologico a ogni accostamento di cultura e politica. Insomma, non si potranno trascurare i contesti politici. In primo luogo le critiche alla monarchia sabauda in sede internazionale nei primi anni unitari, come evidenziato in un recente libro da Eugenio Di Rienzo. E poi il clima sempre più pesante con l’avvicinarsi degli anni Novanta: lo scandalo della Banca Romana, la svolta politica della questione sociale, la repressione dei Fasci siciliani e delle proteste nella Lunigiana.

Ma non si può parlare di Castromediano senza ricordare Adele Savio di Bernstiel, presente dall’inizio alla fine della lunga storia delle Memorie. Fu lei a richiamare il vecchio Duca dalla tentazione di abbandonarsi alla delusione e a incitarlo a ricordare i valori per cui aveva lottato e sofferto: non egoistici interessi, non meschine macchinazioni, non personali ambizioni, ma esigenza di giustizia, bisogno di libertà, rispetto per le persone, sete di cultura. Dunque, non pagine che consolino i vecchi, ma un monito ai giovani perché continuino una lotta sempre aperta e carica di insidie.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 1° dicembre 2019]

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