Settant’anni di letteratura. Su un libro di Matteo Marchesini

di Walter Nardon

Uno dei pregi non secondari del libro Casa di carte. La letteratura italiana dal boom ai social di Matteo Marchesini (il Saggiatore, 2019) consiste nell’agilità con la quale supera un ostacolo oggi pressoché inevitabile in una raccolta di saggi letterari, ossia la questione inerente lo stato di salute della critica in Italia. Dopo alcune pagine ironiche e poco rassicuranti sulla condizione delle Humanities, lontane però dall’evocare scenari terminali, il libro dimostra infatti sorprendentemente che si può tener conto della questione anche parlando d’altro e che, per essere brevi, si può proprio parlar d’altro.
Del resto, in una recente indagine su questo tema, Lo stato della critica e lo stato del romanzo: quattro domande per sessantasette critici, curata da Vanni Santoni per «L’indiscreto» (www.indiscreto.org, 2019, precisamente a p. 26), Marchesini lo ha detto in modo esplicito: «Non credo alla critica come mediatrice tra autori e pubblico. Il critico, se è tale, è semplicemente uno scrittore che parla di opere d’arte e, attraverso le opere, del mondo. Meno potere ha, specie oggi, meglio può esprimersi».
Per quanto la questione del venir meno degli organi di mediazione abbia la sua ragion d’essere, soprattutto in ambito istituzionale (penso al destino della scuola e a quello dell’università) in un discorso sulla pratica letteraria la posizione di Marchesini mi sembra feconda perché chiama in causa la responsabilità individuale e l’intervento quotidiano negli spazi che oggi sono concessi dai vari organi di informazione, sia sulla carta che in rete. Nei pezzi scritti sui giornali, o per una rivista on line, Marchesini lavora alle parti di un affresco su quasi settant’anni di storia letteraria il cui tono personale è immediatamente riconoscibile. E benché, scontando un carattere costitutivamente frammentario, questa soluzione comporti un rischio più alto rispetto a quella dello studio sistematico, se all’idiosincrasia dei giudizi corrisponde la profondità di lettura e una felice invenzione linguistica, come è spesso il suo caso, il risultato appare fecondo anche quando lo si trovi contrario alla propria opinione.

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