di Francesco D’Andria
Passato il mercoledì santo nei preparativi dei taralli “chidde cu u pepe e chidde senza pepe” e poi delle “scarceddhe” a forma di bambole o di agnelli, modellate sui canoni dell’arte naif delle nostre nonne, il giovedì iniziava, con l’uscita della prima posta, il pellegrinaggio ai Sepolcri. Gesti, profumi, suoni di quegli anni cinquanta restano indelebili nella memoria: si usciva nel tardo pomeriggio, la famiglia al completo, con mia sorella Anna e mio fratello Emanuele… S. Francesco, il Carmine, S. Pasquale, quindi il rito di passaggio sul ponte, per entrare in un’altra dimensione, nella città vecchia, dove tutte le sensazioni si tingevano di tinte più forti. La prima tappa era la SS. Trinità e quella chiesa così particolare, col passare degli anni, acuiva la mia curiosità, avvolta in un alone di mistero, come nei riti dell’Antichità. Bisognava salire una scala stretta, nelle due file di ingresso e di uscita, a contatto con gli altri fedeli, poi la sosta su un ballatoio ornato di vasi di fiori, come nei balconi delle case di pescatori alla Marina.
Ricordi meravigliosi d’infanzia descritti in modo stupendo dal Professor Francesco D’Andria.