di Paolo Vincenti
“Tonza patonza tonza patonza tonza patonza tonza patonza tonza patonza tonza patonza tonza patonza…”
(Elio e le storie tese)
Ma certe trovate come quelle delle redivive femministe alla manifestazione “Non una di meno”, ce le meritavamo proprio? Pensavamo che le scene di donne che espongono le tette gridando “il corpo è mio e lo gestisco io” fossero relegate ad un passato di rivendicazioni femministe ormai consegnato alla storia. Invece, come i peperoni che si mangiano di sera, si ripropongono. Alla manifestazione dell’8 marzo a Milano, alcune femministe davanti al Palazzo della Regione tirano su la gonna e fanno vedere la patonza. A Roma, Bologna, Torino, e in altre città italiane, ballano mascherate, intonano cori, si confondono con il popolo arcobaleno dei gay lesbo e trans, offrono pannolini e pannoloni ai passanti, agitando mestoli e scodelle, si spogliano e saltano. Tutto un imbroglio, questo sciopero delle donne, una grande trovata pubblicitaria ma che puzza un bel po’ di stantio, di anacronistico, di superato. Le donne in piazza a protestare e gli uomini che le aspettano al ritorno a casa cantando “Chi non lavora non fa l’amore”. Premio Capo Volto.