Probabilmente, i riflessi sono l’altro elemento che impone di escludere una nostra qualsiasi estraneità alla storia. Forse non c’è più nulla che possa accadere in qualche angolo remoto del pianeta che in qualche modo non coinvolga lo spazio che abitiamo, il tempo che attraversiamo. Non c’è più nulla di cui anche soltanto uno di noi possa dire non mi riguarda.
Forse dovremmo anche considerare che quella verità secondo la quale chi non conosce la storia è condannato a riviverla, pretende un significato di immediatezza, per cui si deve dire che è condannato a viverla, non più a ri-viverla.
Nessuno può permettersi più l’indifferenza. Non si può essere indifferenti ad una condizione che si vive, e noi viviamo nella condizione della storia, che peraltro, spesso, è bruciante.
Il modo in cui è il nostro piccolo, piccolissimo mondo, il modo in cui noi siamo in quel piccolo, piccolissimo mondo, hanno origine e prospettiva nel modo in cui è il mondo intero, nel modo in cui sono le creature del mondo intero.
Se la storia è groviglio, noi siamo nel groviglio. Se la storia talvolta è tempesta che sconvolge e travolge, noi siamo nella tempesta. Se provoca incertezza, precarietà, vacillamento, provvisorietà, instabilità e crisi, noi non possiamo che vivere ognuna di queste condizioni. Se è un catalogo dei destini individuali e collettivi, non possiamo fare a meno di imparare a leggere, ad interpretare quel catalogo, a ricercarci e a ritrovarci nei suoi testi, nelle sue immagini. Se il catalogo rappresenta vinti e vincitori, vittime e carnefici, giusti e malvagi, onesti e impostori, coloro che appiccano gli incendi, stendono filo spinato, massacrano innocenti, e coloro che innalzano cattedrali, dipingono meraviglie, tessono poemi, dobbiamo imparare a riconoscere la fisionomia di queste figure. Se propone modelli di verità e di giustizia, di menzogna, di impostura, di uguaglianza, libertà, democrazia, di guerra e di pace, dobbiamo imparare ad accogliere quelli che producono bene e a respingere quelli che provocano male.
Ora la storia è diventata inevitabilmente prossima, vicina, ininterrottamente presente. Forse si potrebbe dire che ora la storia è il presente secondo come si manifesta nell’esistenza di ogni giorno, e che in quanto presente non ha nulla di certo, nulla di immutabile. Ora la storia non dà risposte: scaglia continui interrogativi con i quali ci si deve confrontare. Forse il suo senso più profondo, essenziale, è nella costante tensione fra la necessità della memoria e l’ineluttabilità dell’oblio. Come in una poesia di Wislawa Szymborska, che dice così: “Chi sapeva/di che si trattava, /deve far posto a quelli/che ne sanno poco. / E meno di poco. /E infine assolutamente nulla./Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti,/c’è chi deve starsene disteso/con la spiga tra i denti,/perso a fissare le nuvole”.
Già. Si può anche arrivare a pensare che i significati della storia si sottraggano alla nostra comprensione e alla nostra memoria. Fino ad un certo punto e in qualche caso è stato possibile confidare su quelle che venivano definite le certezze della storia. Da un certo punto in poi, la storia ha trovato come territorio soltanto l’incertezza. Forse quel punto è stato il Novecento: il tempo dell’incertezza, in assoluto.
Il secolo che attraversiamo è ancora Novecento: con le incertezze che si sono acuite, con gli entusiasmi per la scienza e con i dubbi per la tecnologia, con il continuo mutare degli assetti sociali, economici, politici, con il benessere che ci rasserena e il deserto della povertà che ci addolora. Ma il vivere dentro la storia significa anche la bellezza e la malinconia che il sentimento del tempo comporta.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 3 novembre 2019]