Di mestiere faccio il linguista 19. Internet? Irrinunziabile, ma…

A partire dai numeri. Non sappiano precisamente quanti siano in Italia i comportamenti patologici legati a un’utilizzazione distorta della rete. Le stime parlano di 100mila casi italiani di hikikomori, un esercito di reclusi volontari che chiede aiuto in silenzio. Quali che siano i dati reali, non si può restare indifferenti rispetto all’isolamento a cui si condannano tanti individui delle generazioni più giovani: adolescenti e ragazzi fiacchi e inconcludenti, distratti e disinteressati, con scarsissimo rendimento a scuola. Poi, al momento di entrare nel mondo degli adulti, incapaci di sopportare la pressione della competizione che quel mondo spesso richiede, si rifugiano nell’autoesclusione. Si autoescludono non a causa del computer, naturalmente, le ragioni sono altrove; ma trovano nell’uso ossessivo del computer lo strumento attraverso cui dare corpo alla asocialità autoreferenziale dei  loro comportamenti.

Accetto l’invito del mio lettore, abbandoniamo le patologie, parliamo di altri fenomeni. Basta osservare. È in aumento il numero degli incidenti stradali legati all’uso del cellulare mentre si guida. Non costituisce un valido deterrente l’articolo del codice della strada che prevede sanzioni economiche e decurtazioni di punti della patente per chi guida e parla al cellulare, fatalmente distraendosi. Mi fa sorridere una vignetta di Migneco e Amlo (la coppia Sara Migneco e Amleto De Silva fa vignette intelligenti e amare). Una ragazza assorta ammonisce: «Non si guida con lo smartphone»; poi precisa «Hai visto mai che sbagli a scrivere». Scrivere un sms richiede almeno 10-15 secondi, significa percorrere 300 o 400 metri alla cieca, senza poter controllare chi ci viene di fronte. C’è chi fa peggio. Qualche giorno fa, sulla superstrada per Brindisi, un tizio guidava leggendo a lungo il cellulare, retto con una mano e poggiato sullo sterzo. Modo singolare di restare in contatto con i propri cari o di tenersi informato…

Cambiamo tema. Resto sbalordito di fronte alla marea di insulti, violenze verbali, diffamazioni, volgarità, invidia, pettegolezzi, calunnie, notizie false diffuse nella rete a bella posta e a vario scopo. Ancor più mi sbalordisce la reazione collettiva, molti rincarano la dose anziché ritrarsi da quei modi intollerabili. Arrivano a godere dei mali altrui, felici di sapere che un personaggio famoso è gravemente ammalato, che un potente è caduto in disgrazia, che un’attrice molto bella è tutta siliconata e rifatta. Twitter, Facebook, Instagram rappresentano vere e proprie catene di Sant’Antonio che ingigantiscono a dismisura i propri contenuti. Di fronte agli attacchi c’è chi si difende, chi chiede scusa, chi reagisce; qualcuno si ritira dai social oppure cancella il proprio profilo (salvo magari ripristinarlo dopo un po’, perché non  riesce a vivere fuori dall’universo dei social). C’è chi non ce la fa, viene travolto. Qualcuno si è suicidato, non resistendo alla gogna mediatica.  Ancora, il 29 settembre, una ragazzina di 13 anni a Roma.

Amplificati dalla rete, questi fenomeni inquinano la vita di tutti noi. È caduto ogni ritegno nell’esternare ostilità e aggressività. È questo il dato nuovo. Chi esibisce odio non ha dubbi. Si odia apertamente, in privato e in pubblico, alla riunione condominiale, al parcheggio, allo stadio, sul lavoro: occasioni minime, spesso effimere, sono pretesto per manifestazioni di aggressività estrema. La negatività si espande in tutte le direzioni. Colpisce verso l’alto, ho fatto esempi qualche rigo sopra, e certo non va bene: gli esseri umani vanno tutti rispettati. Colpisce più violentemente verso il basso, e questo è intollerabile, chi è debole non può difendersi. L’aggressività colpisce chi ha stili di vita differenti, chi non si uniforma, chi vuol cambiare l’esistente, chi è diverso per etnia o per colore della pelle. La senatrice Liliana Segre, sfuggita ai campi di sterminio, attraverso la rete riceve circa 200 insulti al giorno. Vengono spesso colpite anche le donne, ritenute colpevoli di oltrepassare i limiti che sarebbero connaturati al sesso e alla condizione femminile. «Si assentano dal lavoro per badare alla famiglia e pretendono pure parità di trattamento economico!»; «Hanno voluto la libertà sessuale e si meravigliano per i femminicidi, che nascono dalla reazione di uomini feriti e addolorati!».  Negli  ultimi tempi ci si accanisce particolarmente verso gli immigrati che rubano casa e lavoro agli italiani. Il risentimento più aspro e la sollecitazione a badare prima agli italiani, a quelli che, nati in Italia, si sentono minacciati dai nuovi arrivati, vengono sfoggiati da politici a caccia di consensi. A costoro  che si dichiarano cattolici suggerirei di leggere la Bibbia, un libro chiamato Esodo: un intero popolo che emigra per sfuggire alla persecuzione. Cosa pensano dell’Esodo quelli che la domenica vanno in chiesa?

La lingua registra il mutamento nella percezione collettiva dei sentimenti. L’insulto capra!, ripetuto più volte con tono aggressivo, diventa oggi lo slogan pubblicitario di un’agenda. Al peggio non c’è limite.  La parola cattiveria è molto antica (dal 1328) ed indica la ‘caratteristica di chi è cattivo, di chi compie azioni cattive’. Ma negli ultimi tempi nel linguaggio giornalistico e sportivo denota ‘combattività, determinazione, capacità di iniziativa nel corso di una competizione’ e quindi sta assumendo valori positivi. «In campo con più cattiveria» sollecita un titolo. Altrove leggo : «Sempre all’attacco, sempre cattivo» a proposito di un calciatore di cui si esaltano le capacità.  Il contrario di cattivo è buono. Buonismo denota un ‘atteggiamento bonario e tollerante che ripudia i toni aspri dello scontro politico’;  è buonista ‘chi dimostra buonismo’ (dal 1993). La parola ha assunto un sapore dolciastro, essere buonista è considerato un difetto; se dico a qualcuno «sei buonista» è come se volessi insultarlo, come se dicessi «sei stupido, non capisci nulla della vita».

Abbiamo invertito il significato delle parole, la cattiveria è positiva, il buonismo è negativo. Così va l’Italia dei nostri giorni.                                         

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 3 novembre 2019]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (terza serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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