Entriamo per una di queste porte e siamo già nella città vecchia: palazzi e case a corte, chiese e conventi. Sui portoni dei palazzi, stemmi gentilizi: “Prof, ma qui erano tutti nobili? E la gente comune dove abitava?”. Il dubbio del mio studente è legittimo. Infatti, il tempo ha risparmiato i palazzi e ha distrutto le catapecchie. Allora io immagino – e invito ad immaginare – come doveva essere la vita nell’ancien régime, la stratificazione sociale presente in città, i signori della terra, il ceto dei professionisti, e poi artigiani, commercianti, servi, contadini, la loro vita e i loro rapporti tra le strade che noi stiamo percorrendo nel cuore del cosiddetto centro storico. Ma se la città è fatta degli uomini che la popolano, dove sono più le botteghe degli artigiani e le casupole dei contadini? Oggi rimangono questi palazzi, acquistati e ristrutturati da un’élite internazionale di inglesi, americani, tedeschi, belgi, ecc.; palazzi che un tempo, nel loro insieme, costituivano quello che oggi si chiamerebbe un centro direzionale. Dal palazzo – ma la stessa cosa vale per i conventi – si organizzava la proprietà terriera e la vita rurale dei contadini.
Una studentessa mi fa notare che nel borgo antico mancano gli spazi verdi pubblici, e che gli unici giardini che si intravvedono sono quelli privati posti sul retro delle cose padronali. In effetti, l’uomo dell’ancien régime non pensa affatto a costruire spazi verdi pubblici, gli basta uscire fuori porta per trovare la campagna, dove perlopiù si svolge la sua vita. Il giardino privato era il locus deliciarum di chi se lo poteva permettere, non certo del popolo.
Intanto, continua la nostra passeggiata tra le vie strette del borgo antico. Passiamo davanti a chiese e conventi – la chiesa costruita a ridosso del convento –: domenicani, olivetani, francescani, carmelitani, clarisse, ecc.; e allora qualcuno tra i miei studenti alza la mano, come se fossimo in classe, e chiede: “Tutte queste chiese e tutti questi conventi chi li ha costruiti?” La città come luogo dove non solo si amministra la ricchezza e si dirige l’economia del lavoro, ma anche come luogo dove si disciplinano le coscienze attraverso la religione. “Le due cose correvano in parallelo”, dico, “si integravano, erano l’espressione del modo di vivere dei nostri progenitori; e dunque, chi costruiva i palazzi, costruiva anche le chiese e i conventi”.
“Guardate, ragazzi, lì c’è un mignano, un balcone tipico della casa a corte”. E allora bisogna spiegare che cos’è un mignano e cos’è una casa a corte, come questa fosse la casa tipica di un ceto né ricco né povero, in grado di costruire una stanza dopo l’altra, a seconda delle esigenze familiari, intorno al vuoto della corte; e come il mignano fosse nient’altro che un balcone sopra il portale d’ingresso della casa a corte, utile a controllare dall’alto che cosa avveniva al suo esterno.
“Che noia vivere in questo posto, non c’è spazio per muoversi, tutto sembra costruito!”.
“E’ l’horror vacui l’essenza del Barocco”, dico alla mia studentessa, e aggiungo: “Qui tutto è Barocco, non abbiamo avuto né Rinascimento né Arcadia, né Illuminismo né altro. Il Barocco è tutto, ubiquo e onnipresente, ha ingoiato e digerito ogni altro stile. In realtà, quello che noi vediamo è il risultato di innumerevoli interventi di restauro. Nulla è rimasto com’era. Perciò sarebbe più corretto parlare di Neo-barocco.”
“Ci spieghi, prof, che cos’è il Neo-barocco?”
“Beh, è la nostra epoca, ragazzi. L’epoca dei centro storici restaurati (ma ripuliti dalle catapecchie), dei palazzi dove vive dieci giorni all’anno il ricco americano o inglese o francese, l’epoca della pizzica che scimmiotta vecchi rituali davanti alla chiesa o al palazzo baronale nella piazza pubblica, l’epoca delle nuove devozioni a vecchi e nuovi santi, insomma, la nostra epoca.”
“Vuol dire che non è cambiato nulla rispetto al passato?”.
“Al contrario,” dico, passando vicino alla chiesa più antica, “tutto è cambiato, altrimenti come avremmo potuto parlarne?”
“Facciamoci una foto, prof, una foto di gruppo per immortalare questa passeggiata”, dice uno studente.
“Sì, sì”, rispondono tutti e io stesso acconsento. E così ci siamo messi in posa, sorridenti, mentre un signore che passava di lì scattava la nostra foto-ricordo. Sullo sfondo, dietro di noi, per renderci davvero immortali, la facciata restaurata dell’antica chiesa.