Su Il treno dei bambini di Viola Ardone

Fu a Milano, nell’autunno del ‘45, che prese corpo l’iniziativa di inviare i bambini rimasti soli o con parenti anziani privi di mezzi verso l’Emilia, le Marche, la Toscana. Presto si aggiunsero bambini da ogni parte, da quelle più colpite dai bombardamenti, come Cassino, da disastri naturali come il Polesine, dal Mezzogiorno (12.000 solo da Napoli) ai figli degli operai e dei contadini morti o arrestati per le proteste di Modena, Reggio Emilia, Melissa, Montescaglioso. Circa 70.000 bambini, dal 1946 al 1952, furono accolti curati vaccinati mandati a scuola da famiglie che parlavano un dialetto diverso, che avevano abitudini diverse e in quel mondo dettero un contributo concreto anche alla costruzione della nuova cittadinanza repubblicana (Angelo Ventrone, La cittadinanza repubblicana, Bologna, Il Mulino, 1998).

Ma il fascio di luce che il libro di Ardone getta sulla storia del trasferimento dei bambini non investe il suo lato buono, quanto la vera e propria lacerazione interiore vissuta dai bambini  per la tensione tra il mondo familiare che lasciano e quello nuovo in cui sono accolti. Questa ferita è al centro del libro ed è raccontata in prima persona dal protagonista Amerigo Speranza in un classico “muto dialogo” con la madre Antonietta. Proprio il nome di Amerigo e quello della donna che lo accolse e ospitò a Modena, Derna, agganciano il libro di Ardone a un’altra storia, a persone e fatti reali. Una decina di anni fa l’antropologo Giovanni Rinaldi raccolse le testimonianze orali  di quanti avevano vissuto la repressione della manifestazione popolare avvenuta a San Severo, nel foggiano, il 23 marzo 1950. Come a Melissa e a Montescaglioso i cafoni (Il cafone all’inferno è il titolo con cui Tommaso Fiore raccontò questi avvenimenti) chiedevano pace e lavoro, ma furono affrontati con i carri armati e 180 persone furono arrestate con l’accusa di insurrezione contro i poteri dello Stato. A Michele Di Nunzio andò anche peggio, perché restò ucciso a soli 33 anni. ( Giovanni Rinaldi, I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie, Ediesse, 2009). 70 bambini restarono in mezzo a una strada. Tra questi c’era Americo Marino, un bambino di sei anni i cui genitori erano stati arrestati. E come gli altri salì su un treno che lo avrebbe portato ad Ancona, dove sarebbe stato accolto da una giovane sindacalista, Derna Scandali. Sono molti gli aspetti de Il treno dei bambini che ricordano la vicenda di San Severo. Tanto che si è obbligati a chiedersi perché Viola Ardone abbia scelto per il romanzo una diversa contestualizzazione, non solo geografica, ma sociale e soprattutto politica. La risposta a questa domanda si trova, forse, in un passaggio nel suo libro, precisamente nelle parole di Margherita, la donna di partito che individua bambini e organizza i viaggi e le adozioni. Una donna di grande umanità che, dovendo convincere Amerigo a fare per suo fratello quello che altri avevano fatto per lui, dice:

“Era più facile una volta. C’era il partito, c’erano le compagne e compagni del partito. Oggi non ci sta più niente, chi vuol fare qualcosa di buono lo deve fare da solo, Per conto proprio. Una volta ci stava la sezione, che quartiere per quartiere organizzava le iniziative per i bambini E così li toglievamo dalla strada. Mo sono rimasti solo i preti a fare questo … Che, non dico di no, male non fanno, Anzi spesso fanno pure bene. Ma non è una cosa politica, non so se mi spiego, è carità. È differente.” ( p.199 ).

Aver collocato la storia di Amerigo non nel contesto delle lotte contadine degli anni 50, ma in quello della Napoli popolare del secondo dopoguerra è servito proprio a darle un respiro più vasto, meno datato e collocato. Ma è servito soprattutto a evidenziare il valore politico nuovo di certe scelte di vita, che non viene sufficientemente sottolineato. Una politica che non usa gli uomini, che non è finalizzata alla conservazione del potere, ma che sa sentire i bisogni e sa rispondere a quanti non hanno neanche le parole per esprimersi. C’era un’esigenza di questo tipo di politica non nei partiti e nelle associazioni, che pure avevano sostenuto e realizzato i treni dei bambini, ma nelle donne (soprattutto) e negli uomini, nelle famiglie che si resero disponibili ad accogliere quei bambini, a vestirli, a dargli un’istruzione. Ma soprattutto sentendosi responsabili del loro futuro.

Sarebbe un errore pensare che questa particolare sottolineatura sia il frutto dell’immaginazione narrativa di Viola Ardone.

Nel libro di Giovanni Rinaldi è riportata una testimonianza delle sorelle Ada e Teresa Foschini, due ormai anziane signore, figlie di Soccorsa Mollica che in quella manifestazione di San Severo aveva il compito di ‘portabandiera’ e per questo arrestata il 23 marzo 1950 e liberata il 29 aprile 1951. Le figlie riportano il breve dialogo tra la madre e il pubblico ministero del processo:

“Ma signora mia, voi mamme che avete i figli, pensate ai vostri figli e a stare a casa”. E mia madre ha detto: “Signor pretore, ho fatto due sposalizi, uno con mio marito e uno col partito”,  “Io ti ammiro, però… le donne non dovete occuparvi di politica”. “Ci dobbiamo occupare eccome, perché siamo madri e sappiamo noi quello che succede a casa. (pag. 48-49)

Non si poteva spiegare meglio la necessità del rinnovamento della politica, dopo le umiliazioni imposte dal fascismo, che in quei primi anni repubblicani sembravano tutt’altro che superate. Quella necessità e le sue motivazioni non sono mai morte. Sono solo state nascoste. Come la scatola di latta in cui Amerigo aveva riposto il suo tesoro. Nascoste per vergogna, per un falso senso di pudore, per il prevalere di falsi miti, di idoli bugiardi, di sirene malevole.

Aver ‘raccontato’ questa politica è il grande merito del libro di Viola Ardone, In cui si ricorda che l’accoglienza e la solidarietà hanno anche un sapore amaro, per chi dà e per chi riceve. E tuttavia, quello che si può fare si deve fare.

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1 risposta a Su Il treno dei bambini di Viola Ardone

  1. “Proprio il nome di Amerigo e quello della donna che lo accolse e ospitò a Modena, Derna, agganciano il libro di Ardone a un’altra storia, a persone e fatti reali. Una decina di anni fa l’antropologo Giovanni Rinaldi raccolse le testimonianze orali di quanti avevano vissuto la repressione della manifestazione popolare avvenuta a San Severo, nel foggiano, il 23 marzo 1950.”

    Grazie, Franco Martina

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