a cura di Davide Brullo
Qui, quindi, la poesia diventa cenacolo, celebra l’amicizia, il contatto con i morti, l’esattezza dell’adesso e il modo in cui il verbo puntualizza il divenire in destino. Tutto è sempre ora (Einaudi, 2019) ha certamente la cadenza dell’omaggio (And all is always now canta T.S. Eliot nei “Quartetti”), ma è, per lo più, credo, cifra verbale che è legge, norma poetica: il poeta è quello per cui il tutto è nel frammento (mimo von Balthasar), sul palmo di una mano; è quello per cui è sempre adesso, è sempre l’allerta dell’ora, è sempre il momento culminante, definitivo. “Il transito, la cenere, l’aurora,/ tutto è sempre nel respiro dell’ora”, è il distico che chiude Nel respiro dell’ora. Il poeta ammette, non annuncia, semmai si annienta nell’adesso, dando chiarore al creato, carisma al “tempo che è solco/ di conchiglia e fuga di comete”. Non c’è distanza di sguardo tra l’Antonio Prete studioso di cose letterarie (quello de Il pensiero poetante, Nostalgia. Storia di un sentimento, Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità) e il poeta, grammatico della meraviglia: tenerezze, crisi, crismi, sono i medesimi. Così, questa raccolta puntellata di fraternità – da Celan a Wallace Stevens, da Edmond Jabès a Eliot – è nello stesso tempo – per competenza, tensione lirica, ricorrenza di temi – un asteroide del Novecento e un azzeramento, quasi che il secolo fosse un ago (“All’ombra// del menhir la ricordanza è aspra”: torna una parola-emblema, Menhir è la raccolta di Prete edita per Donzelli nel 2007, la ricordanza ci riarma a Leopardi). A poesie elette al vento della Storia (“La ferita ha memoria, e ha sapienza/ pareva dicesse una voce nel celeste/ del mattino domenicale a Harlem”), Prete ne alterna altre, presocratiche, dove si guarda tutto come mai prima, come al primo o all’ultimo giorno (ci sono alberi, cieli, la neve, le creature piccole e “sopra, invisibile, la corsa dei mondi/ lungo sperdute ellissi”), le più belle. E ci sono tante stelle, in questo libro, dappertutto (compresa la prosa Dire la stella), come se si desiderasse un altro cosmo, come se fosse il bene alzare gli occhi, perché, in fondo, poesia è enumerare gli astri, e narrarne l’estro, la storia, l’esito. (d.b.)