di Paolo Vincenti
Cursi, pochi chilometri da Maglie, è la patria delle cave di pietra ed è anche la patria di Pasquale Pitardi, che però vive a Galatina, “poliedrico artista informale nell’anima e nei fatti”, come scrivono di lui, spinto da quella irrequietezza un po’ randagia, che forse è propria di tutti i creativi. Ma i viaggi di Pitardi, oltre che nelle dimensioni temporali del passato, del presente e del futuro, sono viaggi nel colore, nella materia, nella libera creazione fantastica. “Pittoscultografia” è il neologismo coniato per definire l’arte di Pitardi, o quello che è oggi l’approdo dell’arte di Pitardi. Infatti, l’artista, che provava un senso di profonda insoddisfazione misto alla curiosità e alla voglia di intraprendere nuovi percorsi, ha iniziato a scomporre le sue opere e dalla bidimensionalità, tipica do ogni dipinto, è approdato alla tridimensionalità di quelle che sono oggi le sue pennellate di colore che, come variopinte tavolette votive, si accumulano nella sua casa laboratorio, oppure nelle mostre alle quali partecipa. Partendo dalla acquisita consapevolezza che la pittura è finzione, e che come tale non lo appagava più, Pitardi ha iniziato a staccare questa pittura dai suoi canonici supporti, a scomporre l’opera d’arte visiva quadro, e a cercare sfondo per le sue pennellate di colore nei materiali più disparati, dal legno alla plastica, che danno comunque al fruitore la percezione tattile di un corpo tridimensionale che fa tabula rasa di ogni menzogna immaginativa, di ogni illusione ottica quale è, fra chiari e scuri, il quadro tradizionalmente inteso.