di Guglielmo Forges Davanzati
La nota di accompagnamento al documento di Economia e Finanza (la cosiddetta NADEF) recentemente rilasciata dal Governo è stata definita da alcuni commentatori “ecumenica”, dal momento che, nei limiti delle risorse disponibili e di quelle aggiuntive derivanti dalla maggiore ‘flessibilità’ sul deficit che verrà presumibilmente accordata dalla commissione europea, si propone di accontentare piccole imprese, partite IVA, lavoratori dipendenti, in mancanza – si osserva – di una visione strategica e di lungo periodo sul modello di sviluppo dell’economia italiana. L’intera manovra, in effetti, si basa sul tentativo di riportare l’economia italiana su un sentiero di crescita (previsto per un modesto 0.3%) attraverso il solo blocco delle clausole di salvaguardia, ovvero attraverso interventi finalizzati a impedire l’aumento dell’IVA.
Si tratta di una valutazione per certi aspetti ingenerosa: il Governo Conte 2 si trova a gestire un’eredità difficile, soprattutto nei rapporti con l’Europa, deteriorati dal lungo (e sostanzialmente fallimentare) braccio di ferro che il precedente Governo, a trazione leghista, ha intrapreso con le Istituzioni europee. Nessuno può avere dubbi in merito al fatto che, per come è stata disegnata, l’Unione monetaria europea è indifendibile: produce crescenti divergenze regionali – si pensi ai divari dei tassi di crescita fra Paesi periferici e Paesi centrali del continente – tassi di disoccupazione elevati e crescenti – soprattutto relativi alla disoccupazione giovanile – fallimenti di imprese, elevate diseguaglianze distributive. L’assenza di una politica fiscale comune e la sua fondazione neo-mercantilista (ovvero la convinzione che si possa crescere solo esportando) costituiscono le cause del sostanziale fallimento del progetto europeo, almeno nella versione ‘solidaristica’ immaginata dal Manifesto di Ventotene.