Mentre ancora ero a Bruxelles mi telefona un amico pescatore di Porto Cesareo. Gli è piaciuto un mio articolo in cui parlo di pesca, mi dice che anni fa disse la stessa cosa a un’assemblea di pescatori: le tecnologie distruggeranno la pesca. E fu deriso da tutti. Aumentare l’efficienza del prelievo di pesci con tecnologie avanzatissime depaupererà le popolazioni di pesci (il capitale naturale) e i pescatori non avranno nulla da pescare per incrementare il loro capitale economico. Un pescatore lo aveva capito molto prima di molti politici ed economisti (e di suoi colleghi pescatori). Il mio amico pescatore non ha lauree in atenei prestigiosi, e mi fa venire in mente Teresa Bellanova, oggi ministro dell’Agricoltura, che era una rappresentante dei braccianti. Non bastano le lauree. Teresa Bellanova, da ministro dell’Agricoltura, si occuperà anche di pesca. Mi piacerebbe vedere il mio amico pescatore di Porto Cesareo tra i suoi consulenti. Però avrei qualcosa da dire sulle posizioni della neo-ministra.
Ho incontrato Teresa Bellanova in diverse occasioni e quando ci incontriamo ci salutiamo. L’ho incontrata anche a una tribuna referendaria organizzata da Raitre, quando gli italiani furono chiamati a votare per decidere se rinnovare o no le concessioni petrolifere nei nostri mari. Ero stato invitato come vicepresidente di Marevivo e ovviamente spiegai la necessità di negare il rinnovo alle concessioni petrolifere in mare.
In precedenza Bellanova aveva preso posizione contro lo sfruttamento dei mari con slogan che auspicavano l’assenza di trivelle in mare. Ma, in quell’occasione, da viceministro allo Sviluppo Economico, esortò gli italiani a disertare il voto referendario. Il referendum fallì e il suo governo diede ulteriori concessioni per cercare petrolio nei nostri mari, compresi quelli del Salento. Un provvedimento fermato dall’ottimo ministro Costa.
Non posso dimenticare quella posizione di Bellanova e per essa mi sento di criticarla o, meglio, di stimolarla. E, con lei, il partito con cui è diventata ministra (per poi cambiare partito), che si fece promotore delle privatizzazioni delle imprese statali.
Funzionavano male, erano carrozzoni. Giusto. Ma per me essere di sinistra significa far funzionare bene, anzi benissimo, le cose pubbliche. Se, per farle funzionare bene, si privatizzano allora si è di destra.
E vediamo come è andata a finire con tutte le privatizzazioni: i privati si sono impossessati di asset strategici (dalle autostrade all’acciaio) costruiti con fondi pubblici, ci hanno guadagnato in modo spudorato e li hanno fatti andare in malora. Lo statalismo è negativo se le cose pubbliche sono governate in modo clientelare e incompetente. Ma non è scritto da nessuna parte che le cose pubbliche debbano per forza essere gestite da incompetenti che guardano solo a crearsi consenso elargendo posti pubblici a fedelissimi altrettanto incompetenti.
I privati, poi, chiedono a gran voce investimenti pubblici per rilanciare l’economia. Le grandi opere, per esempio. È facile proporre la crescita economica con fondi pubblici ma è illogico, poi, lamentarsi dello statalismo. Lo stato ci deve mettere i soldi e i privati ci devono guadagnare: è questa la logica? Con questa logica il nostro è diventato il paese delle cattedrali nel deserto: enormi sprechi di denaro pubblico per opere inutili.
Ora, finalmente, abbiamo un governo che, almeno nei programmi, delinea una strategia economica basata sull’economia circolare, sulla riconversione energetica, sul rispetto del capitale naturale non per fini romantici (salviamo le tartarughe) ma per fini economici: se si distrugge il capitale naturale, il capitale economico ne risentirà in modo drammatico. Sta già avvenendo.
Le università che preparano gli economisti non ne hanno mai tenuto conto e, di solito, sono stati gli economisti a dettare l’agenda politica. È per questo che ci vogliono persone come Bellanova, con la terza media, e il mio amico pescatore. Gli spocchiosi che ironizzano sulle attuali posizioni governative e sui programmi sono quelli che hanno guidato le scelte del paese sino ad ora e possiamo facilmente vedere dove lo hanno condotto.
Fare errori è normale, l’importante è riconoscerlo e agire di conseguenza. Questo governo avrebbe potuto esistere sin da dopo le elezioni politiche. Non averlo fatto è stato un errore che, finalmente, è stato riconosciuto come tale. Guardiamo avanti.
Mi preoccupa, però, che sempre Teresa Bellanova, da neoministro dell’Agricoltura, si dimostri possibilista sull’agricoltura industriale e gli Ogm. L’agricoltura industriale punta sulle monocolture (spesso ingegnerizzate), fornisce i servizi ecosistemici con la chimica (i fertilizzanti), e rimuove la biodiversità vegetale con gli erbicidi e quella animale con gli insetticidi. Certo, serve a sfamare miriadi di umani, ma se, per farlo, si distrugge la biodiversità (o la si modifica perché risponda ai nostri desideri) e si distruggono gli ecosistemi, allora non ci siamo.
Le soluzioni a breve termine porteranno a problemi ancora più gravi nel medio e lungo termine. Dobbiamo trovare nuovi modi di produrre energia e cibo, a terra e in mare. Se anche i cinesi hanno capito l’importanza del capitale naturale, sarà bene che le capiamo anche noi. A quanto pare questo governo lo ha capito, ma qualche ministro no.
Perseguire gli interessi dei petrolieri e delle multinazionali che producono Ogm e pesticidi non va nella direzione della transizione verso la sostenibilità. Ci vorrà del tempo per invertire queste tendenze, ma trivellazioni in mare e Ogm in agricoltura non sono il futuro, sono un presente di cui non ci possiamo liberare in un sol colpo ma che dobbiamo considerare come un errore passato, per cercare le soluzioni future.
A quanto pare Teresa Bellanova non sta perseguendo la via della transizione verso la sostenibilità e, visto il ruolo che ha, questo mi pare preoccupante.