di Walter Nardon
Nonostante sia un’affermazione da maneggiare con cura, è vero che si scrive per ragioni affettive, come si impara a rincorrere un pallone dopo averlo visto fare ai ragazzi più grandi. Tuttavia, per quanto l’emulazione spieghi uno dei moventi più profondi della letteratura, non riesce a chiarire ogni dettaglio: fra le discipline del sapere questa rimane, infatti, una delle più ricche di equivoci. Per quanto sia vero che le preoccupazioni di chi scrive presentano nel corso del tempo elementi simili, uno di questi equivoci è proprio quello di considerare costanti e immutabili le condizioni di esercizio della letteratura.
Chiunque abbia frequentato le lezioni di un Corso di laurea in Lettere nei primi anni novanta del Novecento ricorderà senz’altro che, mentre sugli scaffali delle librerie il postmodernismo americano guadagnava spazio, tranne rare eccezioni la pratica narrativa era ancora osservata con sospetto, tantoché, prima di parlare di certi progetti, nei corridoi della Facoltà era sempre opportuno guardarsi intorno (cosa che peraltro consiglio di fare anche oggi); in un certo senso potrei dire anch’io di aver visto spegnersi le ultime luci della lunga stagione del primato della critica. Insomma, il destino che ci veniva illustrato non era tanto quello degli scrittori, o più ragionevolmente quello degli insegnanti, quanto un domani in cui avremmo trascorso le giornate a scrivere contributi critici meritando dopo tanta fatica la ricompensa di un posto riservato nel meraviglioso giardino delle note a piè di pagina, all’ombra di una vegetazione accademica in rigogliosa crescita, sia spontanea che sapientemente coltivata. Per quanto oggi il fenomeno possa apparire poco ordinario, questa prospettiva gode ancora di un’insospettabile prosperità: tre anni fa, durante una conferenza, ho sentito indicare con commozione a degli studenti universitari il momento in cui le loro vite avrebbero visto coronare il sogno di curare un carteggio, come se questa attività – retribuita, s’intende, che apprezzo e verso la quale non ho alcuna riserva – fosse però destinata infallibilmente a ciascuno dei presenti (vorrei segnalare che erano sessanta, fra ragazzi e ragazze). Se la prudenza non sembra mai eccessiva, credo che l’eccesso di ottimismo possa suscitare uno stupore comprensibile.