Dante merita riconoscimenti collettivi analoghi a quelli che da anni vengono tributati ad altri grandi. A Barcellona e in molte altre località del pianeta il 23 aprile si celebra la «Festa mondiale del Libro», voluta dall’Unesco nella data di morte che accomuna tre grandi come Shakespeare, Cervantes e Garcilaso de la Vega. Tributi imponenti riceve un autore che a me non piace tanto, James Joyce autore dell’Ulisse (mi scuso per questa dichiarata opinione personale, altri non saranno d’accordo). Il 16 giugno si tiene il Bloomsday, la festa dedicata a Leopold Bloom, protagonista del romanzo joyciano. L’occasione promuove ogni anno letture pubbliche dell’Ulisse, lezioni, spettacoli, convegni, mostre, e anche appuntamenti conviviali, pranzi, cene e bevute. Vengono coinvolti non solo i luoghi tradizionalmente deputati alle attività culturali (scuole, università, teatri, biblioteche, musei, radio, tv e giornali) ma anche altri meno consueti (piazze, discoteche, cinema, osterie, ristoranti, caffè). Non solo a Dublino, la città di Joyce, o a Trieste, dove lo scrittore irlandese ha vissuto diversi anni, ma anche a Melbourne, a New York, a Philadelphia, a Mosca, a Londra, a Shanghai, a Parigi, in Ungheria, in Croazia.
Poeta che appartiene al mondo, Dante fonda la nostra identità nazionale. La percezione più vistosa dell’enorme influenza che la Commedia ha esercitato sulla lingua italiana si ha considerando il numero di frasi celebri di origine dantesca, radicate nella nostra lingua al punto da dar luogo a espressioni idiomatiche o veri e propri proverbi, spesso usate in forme del tutto svincolate dal contesto originario, che attengono ai temi più svariati: amore, amicizia, poetica, politica, memoria, stati fisici, stati d’animo, vita in genere e molti altri. Pensate a quante frasi dantesche usiamo senza ricordarne la provenienza: «e ’l modo ancor m’offende», «Amor, ch’a nullo amato amar perdona», «Galeotto fu il libro e chi lo scrisse», «lasciate ogni speranza o voi che entrate», «non ti curar di lor, ma guarda e passa», «sanza ’nfamia e sanza lodo», «mi fa tremar le vene e i polsi». Le troviamo nei contesti più impensati. «Lassate ogni speranza o voi k’entrate» è scritto sui muri di Bastogi, quartiere romano degradato nel quale è ambientato il film Come un gatto in tangenziale, con Antonio Albanese e Paola Cortellesi (dicembre 2017). «Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza» dichiara un tatuaggio in bella vista sulla clavicola anteriore sinistra di Giulia Arena, miss Italia 2013 (il suo ufficio pubblicitario garantisce: la frase «denota senza dubbio l’amore di Giulia per la cultura e per la letteratura»). A volte chi cita fraintende: «mi fa tremar le vene ai polsi» ha detto recentemente un politico (non ne faccio il nome), dimenticando che polsi in Dante significa ‘arterie’ (< lat. pulsum). E quindi: «le vene e i polsi»
La presenza dantesca nella cultura italiana è pervasiva. È impossibile enumerare gli episodi di citazione, riutilizzazione, riappropriazione, riconversione di lemmi, interi brani, personaggi, temi della Commedia che hanno costellato la nostra storia letteraria, fino ai nostri giorni. Limitandoci alle fasi più recenti, è intrisa di elementi danteschi una buona parte della poesia italiana novecentesca: Rebora, Montale, Sereni, Amelia Rosselli, Pasolini, Sanguineti, Luzi, Fortini, Zanzotto. Primo Levi nell’inferno di Moniwitz (campo satellite di Auschwitz), rievocava a memoria il canto di Ulisse e così immaginava dignità e speranza di salvezza per il singolo individuo oppresso e per il genere umano. Un contributo alla conoscenza collettiva del testo di Dante offrono anche le letture pubbliche (quasi sempre corredate da parafrasi e commenti) del testo dantesco da parte di protagonisti eccellenti come Ruggero Ruggeri, Romolo Valli, Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi, Vittorio Gassman, Arnoldo Foà, Vittorio Sermonti; fenomeno clamoroso è Roberto Benigni, che legge con grande successo il poema dantesco davanti a migliaia di spettatori in piazze affollate e a milioni di telespettatori, che seguono in televisione gli spettacoli dell’attore toscano.
L’Alighieri è presenza viva nella nostra società, non monumento libresco, pittorico o marmoreo. Celebriamone degnamente la figura.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 29 settembre 2019]