Un pensiero diverso per il Sud

di Antonio Errico

Se fra dieci anni, fra venti, in un giorno d’autunno, d’inverno,  un viaggiatore capiterà da queste parti, in uno dei luoghi dove il Sud è Sud, troverà vecchi sulle soglie delle case in attesa che cali lo scuro.

Troverà paesi in abbandono e campagne desolate e scheletri di quello che siamo stati, che desiderammo di essere.

Il Sud si spopola. La Storia si ripete. Non è mai una buona cosa quando la Storia si ripete: perché è il passato che ritorna. Ma il passato esiste per non ritornare.

Non è mai una buona cosa quando dentro gli occhi scorre il déjà vu, perché vuol dire che non è accaduto niente, oppure che qualcosa è accaduto, ma inutilmente, o negativamente.

Un Sud in affanno, lo definiscono i rapporti. Un Sud fermo. Un Sud all’ultima chiamata.

In quindici anni se ne sono andate più di due milioni di persone. 132 mila solo nel 2017. Più della metà sono giovani. Molti, moltissimi, troppi i laureati. Se ne vanno. In altre parti qualcuno li accoglie. In altre parti comprendono la loro intelligenza, la loro energia. In altre parti d’Italia, in altre parti d’Europa, in altre parti del mondo, i giovani meridionali sono i migliori: nell’arte, nella ricerca, nell’impresa.

Si potrebbe obiettare che è sempre stato così. E’ vero. E’ sempre stato così. Ma si pensava che la parola progresso significasse una direzione diversa della Storia, che volesse dire cambiare quelle cose che non sono giuste e non sono buone, trasformare quel che è stato così in diversamente da così, in un modo migliore.

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *