I vocabolari ci aiutano a capire. Signorina è il titolo con cui di solito ci si rivolge a una donna giovane non sposata: «buon giorno, signorina»; «si accomodi, signorina»; spesso scherzosamente, parlando a bambine: «vogliamo smettere, signorina, di fare i capricci?». Nei contesti formali (non nella conversazione di tutti i giorni, lì le regole possono essere diverse) ormai da oltre un decennio alle donne dopo una certa età (diciamo dopo i diciotto-venti anni) viene dato l’appellativo allocutivo di signora (senza distinguere se si tratti di donna sposata o meno): è un modo di rispettare l’interlocutrice, la si rispetta in quanto persona, non importa la presenza o l’assenza del matrimonio.
In alcune donne molto giovani l’abolizione di signorina suscita qualche perplessità. Se durante una seduta di laurea (è un momento importante, il culmine degli studi universitari) il presidente di seduta o qualche commissario si rivolge alla laureanda con l’appellativo signora, spesso l’interpellata si mostra sorpresa. Non gradisce, alla sua giovane età, essere qualificata come signora. Ma non è mancanza di rispetto, anzi testimonia esattamente il contrario. Basta osservare cosa avviene con i corrispettivi termini maschili. Perché solo nell’appellativo allocutivo femminile deve esistere una distinzione basata sul matrimonio, visto che a signore non si contrappone signorino? Signorino esiste nella lingua italiana ma viene usato in accezione ironica, per indicare un giovane troppo esigente e di gusti difficili, non è un complimento: «il signorino non si accontenta mai, pretende sempre cibi raffinati».
Da molti il nuovo atteggiamento linguistico, quello di rivolgersi alle donne con signora senza chiedersi se si tratti di persona sposata o nubile, è visto come segnale di una parità di genere finalmente raggiunta. Se ne occupa anche la politica, a livelli elevati. Tra le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua (Presidenza del Consiglio dei Ministri) si rileva l’uso «dissimmetrico di nomi, cognomi e titoli». Ecco l’invito: «Abolire l’uso del titolo signorina, che tende a scomparire ed è dissimmetrico rispetto al signorino per uomo, ormai scomparso e che non è mai stato usato con lo stesso valore».
Una decisione del 2009 del Parlamento Europeo, relativa però solo agli atti legislativi e ai documenti interni dello stesso parlamento, contiene linee guida per la neutralità di genere e consiglia di omettere, in riferimento a donne, qualsiasi appellativo relativo allo stato civile, ricorrendo al solo nome e cognome. Il Primo Ministro francese ha abolito il termine mademoiselle dai documenti amministrativi ormai da alcuni anni. Gli spagnoli continuano a usare señorita, ma si interrogano se sia corretto. Se gli inglesi utilizzano Mrs e Miss per indicare le donne sposate e quelle nubili, con Ms cercano invece di introdurre neutralità e di evitare etichette. Infine, in Germania vi è il termine Fräulein (‘signorina’ contrapposto a Frau‘ signora), ma già negli anni ottanta il termine veniva considerato desueto e da evitare. L’uso della lingua richiede attenzione, se vogliamo essere politicamente corretti. Ne abbiamo parlato a luglio, ricordate?
Torniamo al caso iniziale, il dibattito televisivo tra Boschi e Salvini. Quest’ultimo, sottolineando la condizione di giovane donna non sposata della sua interlocutrice, intendeva alludere ad altro: insisteva sulla presunta immaturità e sulla presunta inadeguatezza al ruolo di ministra (senza darsi la pena di dimostrare le sue affermazioni). Bene ha fatto Boschi a replicare con l’appellativo giovanotto ‘maschio celibe, robusto e troppo spigliato’ (dicono così i vocabolari, che come sempre ci aiutano a capire molte cose, al di là dei fatti strettamente linguistici). Fa bene Boschi a difendersi, troppo spesso chi la attacca insiste sui suoi dati anagrafici e sulle sue caratteristiche fisiche, perfino sui dettagli di glutei e seno. Benissimo ha fatto Valerio Onida, ex Presidente della Corte Costituzionale, sostenitore del “no”, ad esprimere la sua solidarietà alla ministra Boschi durante un dibattito televisivo, la sera del 7 novembre. Onida espone idee opposte a quelle della ministra ma lo fa con garbo e razionalità, il politico citato all’inizio di quest’articolo fa allusioni che vorrebbero essere irridenti e sono invece stupide.
Non sto privilegiando le ragioni del “sì” al referendum contro quelle del “no”. Parlo del modo di trattare i temi importanti che ci interessano. Dobbiamo considerare le idee e i fatti, non i pregiudizi.
Una mia amica che segue attentamente la pagina domenicale di «Parole al sole» mi ha chiesto una volta. Dove trovi gli argomenti di cui tratti? La risposta è semplice, come abbiamo appena visto. Gli argomenti vengono dalla vita, basta guardarsi intorno, la lingua ci coinvolge tutti e ci insegna a vivere!
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 13 novembre 2016, p. 10]