di Laurent de Sutter
Cara Greta, non avrei mai immaginato di scriverle un giorno una lettera. Io e lei apparteniamo a mondi talmente diversi! Lei è una ragazza del ventunesimo secolo, io sono un uomo del ventesimo. Lei è colma della speranza di coloro che pensano di poter cambiare il mondo, io sono lo spettatore malinconico e velletario della derelizione.
Non che io non abbia mai voluto impegnarmi in prima persona, anzi. L’ho fatto a più riprese e ho intenzione di farlo ancora, ma il fatto è che il mio impegno personale non ha effetto, essendo quello di un uomo che ha indubbiamente trascorso troppo tempo a leggere e che immagina che una lotta, quale che essa sia, abbia qualcosa di romantico, perfino di irresistibimente erotico.
Devo proprio confessarlo, cara Greta: la mia lotta era una lotta da sognatore, da borghese che si immaginava di poter fare la rivoluzione dal suo salotto o dalla terrazza di un caffè. La sua, invece, non deve nulla al libro o al sogno, è un combattimento brutale, bello, contro forze infinitamente superiori per numero e per potere – forze che hanno accolto la sua entrata in scena con sogghigni, tentando poi subito di dimenticarla. Ma quando lei è tornata e poi tornata ancora fino ad occupare tutto lo spazio di quanto considerano di loro esclusiva proprietà, ossia i media, si sono preoccupati.
Non l’hanno mai presa sul serio, così come non hanno preso sul serio le decine, le centinaia di migliaia di compagni che l’hanno raggiunta da tutto il pianeta. Finché lei rimaneva una curiosità potevano considerarla come tale con tutto il paternalismo ripugnante di coloro che si sentono al di sopra di tutto. Ma a un certo punto si sono resi conto di quanto vantaggio avesse preso su di loro, di ciò che lei rappresenta e che è quanto essi rigettano: il coraggio, l’onestà, l’intensità. Allora hanno cominciato a dare sfogo all’odio.
Cara Greta, l’hanno subissata di insulti. Hanno schernito il suo fisico, la sua condizione mentale. Si sono fatti beffe del suo sapere di cui, all’improvviso, hanno finto di pretendere che riguardasse solo una parte del problema. Hanno fatto insomma ciò che fanno sempre: tentare di farla passare per una mezza idiota, un’ingenua un po’ ritardata, una trappola per adolescenti dagli ormoni in subbuglio. È disgustoso. È brutto. È stupido. E soprattutto cattivo.
Per andare negli Stati Uniti lei ha preso una barca a vela che le hanno prestato, e non l’aereo, per difendere la sua causa, perché ne è convinta, e anche questo le è valso le prese in giro e gli insulti dei furbi, di quelli istruiti, di quelli che ne sanno di più. Ma non sembra che lei ne sia stata molto colpita. Tanto meglio.
Cara Greta, voglio che sappia che lo spettacolo della sua rettitudine, della sua indifferenza mi fa un bene enorme. È uno spettacolo che, per una volta, non richiede alcun commento, alcuna critica, e neppure alcuna adesione o alcuna fede. Lei non è una santa, né una martire, né un’eroina. Non ci salverà e del resto non pretende di farlo. Ci salveremo da noi, se lo decidiamo, allo stesso modo in cui lei vuole solo essere fedele alla sua scelta, al suo desiderio.
No, cara Greta, lo spettacolo della sua indifferenza significa altro. È uno spettacolo che vuol dire: c’è qualcosa di possibile, qui, ora, fuori dai salotti e dalle terrazze dei caffè. Fuori anche dai parlamenti e dalle sale stampa. C’è qualcosa di possibile, basta che ai discorsi e alle minacce di coloro che sono al potere impariamo a reagire con la stessa indifferenza che lei manifesa nei loro confronti.
Quelli che minacciano perché hanno il potere non contano perché il potere possono perderlo. D’altronde lo hanno già perduto – e lo sanno.
Con grande cordialità,
Laurent de Sutter
[Traduzione di Barbara Fiore – Qui il testo orignale: https://www.rtbf.be/lapremiere/article/detail_laurent-de-sutter-chere-greta-thunberg-il-y-a-quelque-chose-de-possible?id=10320375&fbclid=IwAR081ZVnqaZNRHbLmUV4YwAKz_u98wxRYKSmqHiE-B_aC_u1IP0WEoOzYMM]