Allora ci soffermiamo a riflettere dove andare, quale direzione sia più conveniente seguire, se quella che conduce verso gli orizzonti chiari, se quella che conduce a quelli scuri.
La prima ci propone parvenze di certezze, qualche punto di riferimento, qualche frammento di senso.
L’altra lascia immaginare solo territori di illimitata incertezza, uno zero di orientamento, un deserto di senso.
Ci ritroviamo così, dunque: sospesi, dubitanti sopra l’altura di una conoscenza da cui s’intravede all’orizzonte la possibilità di una conoscenza ulteriore, il profilo di altezze superiori.
Dobbiamo soltanto scegliere la direzione, se andare verso una striatura di certezza oppure verso l’incertezza irrimediabile.
Forse la storia dell’uomo è fatta, sostanzialmente, da viaggi azzardati verso l’incertezza assoluta. Anche la storia di questo tempo è fatta da viaggi azzardati verso l’incertezza assoluta. Certamente è stato così per tutto il Novecento, da cui veniamo senza alcuna eccezione, da cui vengono anche coloro che hanno aperto gli occhi sul mondo quando il Novecento era già finito.
L’arte, la letteratura, soprattutto la scienza del Novecento hanno intrapreso un viaggio verso l’ignoto, verso i territori dell’incertezza assoluta, verso l’enigma, il mistero.
Sull’altura della loro conoscenza, gli uomini si sono soffermati a riflettere verso quale direzione dovessero andare e sono andati verso quella nascosta dagli orizzonti nebulosi.
Il viaggio dell’uomo sulla Luna può costituirsi come la rappresentazione più significativa dell’andare verso gli orizzonti scuri. Dentro il rigore della scienza, nella perfezione della tecnologia, serpeggiava l’ipotesi dell’incognita, del gesto imperfetto, del calcolo non riuscito, del meccanismo che s’inceppa, dell’imponderabile, dell’inesplicabile, dell’imprevedibile.
E’ stato raccontato che esisteva un piano segreto da attuare nel caso gli astronauti dell’Apollo 11 non fossero più tornati dalla Luna, se nel Mare della tranquillità fosse naufragato il sogno. Richard Nixon era preparato a informare il Paese in televisione. Avrebbe detto: “Il destino ha voluto che gli uomini andati sulla Luna per esplorarla in pace, in pace lì dovranno restare. Ma ogni essere umano che guarderà la Luna nella notte ora e in futuro saprà che c’è un angolo su un altro mondo che è per sempre umanità”.
Il progresso avviene nel corso del viaggio che s’intraprende verso gli orizzonti scuri, indipendentemente dal fatto che si arrivi da qualche parte oppure no. E’ nel corso del viaggio che avviene la scoperta attesa o la rivelazione inaspettata, l’evento che sorprende, che si verifica una nuova o una diversa comprensione dei fenomeni e delle cose, che matura l’acquisizione di nuovi metodi e strumenti di interpretazione che consentono la conoscenza ulteriore, più profonda.
Resta sempre l’incomprensibile, senza dubbio. Ma nel corso del viaggio verso gli orizzonti scuri, la comprensione riesce a sottrarre qualche lembo di terra ai territori dell’incompreso. Il progresso delle civiltà si verifica attraverso questo processo, lento e graduale, di conquista dell’incompreso.
Nello svolgersi di questo processo non c’è disciplina, sfera del sapere, che prevalga su altre, che sia più adeguata, opportuna, funzionale. Sguardo scientifico e sguardo poetico hanno la stessa rilevanza, la stessa visione delle cose, anche se poi le indagano in maniera diversa e giungono a esiti diversi, che, coerentemente con il metodo di indagine, sono scientifici o poetici.
Certo, sarebbe affascinante se esistessero esiti che fossero poeticamente scientifici e scientificamente poetici.
E’ affascinante quando esistono: perché in taluni casi esistono.
Dall’altura della conoscenza di questo tempo, noi vediamo paesaggi culturali di cui non riusciamo a distinguere gli elementi o di cui distinguiamo elementi che a volte ci inquietano. Per esempio si intravedono figure inerti di robot che ci attendono nei loro territori per chiederci il miracolo di metterli in funzione.
Noi sappiamo bene che non riusciremo a rinunciare al desiderio di esplorare quei territori, a non compiere il miracolo di far funzionare quei robot.
Così, giorno per giorno muoviamo i nostri passi nella loro direzione. Impareremo a costruirli. Attribuiremo loro molte delle nostre funzioni. Saranno perfetti. Ma c’è una cosa, forse solo una, che si deve scongiurare, solo quella cosa dalla quale ne dipendono molte altre, forse tutte le altre. Non dobbiamo dargli mai nemmeno una scaglia della nostra fantasia.
Senza fantasia resteranno macchine dipendenti da noi e potremo ribadire ad ogni istante il nostro essere superiori.
Se avranno anche solo l’illusione di una fantasia, prima ci domineranno, poi ci sostituiranno.
La fantasia è l’unica facoltà che ci potrà salvare. Anche perché, una volta o l’altra, ci potremmo trovare a fantasticare di sbarazzarci di loro e di farli tornare alla loro natura originaria di ferraglie: raffinatissime, certamente. Ma sempre ferraglie.
[“Quotidiano di Puglia”, Domenica 22 settembre 2019]