Di mestiere faccio il linguista 13. La distruzione delle biblioteche

Quel remoto tentativo utopistico di riunire in un sol luogo il sapere del mondo e di fare della conoscenza un’impresa collettiva, aperta ai frequentatori più vari, sembra lontanissimo dalla nostra attuale mentalità. Quasi nessuno lamenta l’assenza di biblioteche ben fornite destinate alla lettura pubblica. Anche nella ridotta parte di popolazione che legge pochi frequentano, magari saltuariamente, una biblioteca. Manca una sensibilità comune per questo; spesso l’incuria e il disinteresse generale cospirano al fallimento. Mi ha colpito leggere in questi giorni che, a distanza di due anni dall’incendio che ha distrutto la biblioteca Bilotti Ruggi D’Aragona a Cosenza (ricca di pergamene e manoscritti antichi), nulla è stato fatto per tentare la riapertura di quella biblioteca, rendendo accessibile al pubblico il patrimonio librario residuo e comprando nuovi libri. In generale, tira brutta aria per le biblioteche: amministratori “preveggenti” e “moderni” non le curano né le arricchiscono, perché «nel mondo di wikipedia nessuno più le utilizza». L’imperativo economico prevale su ogni altra considerazione. Non è la diffusione del sapere che interessa ma la ricaduta in termini di immagine; si giudica preferibile finanziare sagre di paese e raduni in piazza per ascoltare cantanti più o meno noti.

Non va meglio nelle scuole e nelle università. Ho lavorato per decenni a Unisalento, istituzione decisiva per lo sviluppo del territorio. Non sono indifferente alle sue sorti. Ecco perché sono addolorato nel constatare che negli ultimi anni si è enormemente ridotta la spesa che molti Dipartimenti destinano all’acquisto di libri e riviste. Si comprano pochi libri, si sospende l’abbonamento alle riviste. Tragico. Quello che oggi non si compra non sarà mai recuperato, i buchi non saranno riempiti. Senza nuove acquisizioni le biblioteche invecchiano, lentamente ma inesorabilmente. Nel silenzio della popolazione universitaria si sta infliggendo un danno storico al Salento, dove non esistono altre strutture nelle quali chi studia possa trova il materiale bibliografico sul quale lavorare seriamente. Davvero una tragedia per la cultura e per la formazione. Di portata analoga, in prospettiva, a quello che la xylella significa per l’agricoltura, per l’economia, per il paesaggio. È goffo e tragico insieme il tentativo odierno di qualche politico regionale di scrollarsi di dosso la responsabilità di non aver saputo affrontare il flagello biblico della xylella, da anni evidente a chiunque (ora l’Europa ci multa e protestano in Liguria e in Francia, forse qualcosa si muoverà. Pare ben intenzionata la nuova ministra Bellanova, speriamo riesca nei suoi intenti). Da noi la storia ripete spesso sé stessa, implacabilmente. Non impariamo mai. Non vediamo, non sentiamo, non parliamo, come le tre scimmiette. Scrivo sperando che qualcuno raccolga, a partire dal rettore di Unisalento appena eletto: fermi il disastro che incombe sulle biblioteche, sia questo il suo primo impegno. In altre sedi esistono molte biblioteche importanti nelle quali lavorare, a Lecce esiste solo l’università. Le biblioteche sono come i laboratori, non si può fare ricerca se non vengono continuamente aggiornate. Come può la nostra università trattenere in sede i potenziali studenti (molti diplomati delle superiori si iscrivono altrove, molti laureati della laurea triennale si spostano in altri atenei per la magistrale), come può attrarre studenti da altre università o dall’estero, come può formare i ricercatori più giovani se vengon meno le condizioni minime per lo studio e per la ricerca?

Con la comparsa dei nuovi media il libro a stampa ha perso il suo monopolio, un po’ come la ferrovia rispetto all’automobile, all’aereo e al bus. Ma tutti coesistono. La rete non può sostituire il libro, come pensano alcuni poco informati o in mala fede. Il libro resta ineliminabile, fondamentale per l’accesso dell’uomo alle più svariate espressioni della conoscenza. Anche in presenza dei nuovi scenari e delle possibilità inedite che si aprono in questa fase. Da anni importanti biblioteche (la British Library londinese, la New York Public Library, la Biblioteca Apostolica Vaticana, le università di Harvard, di Oxford, molti altri atenei in tutto il mondo) digitalizzano i propri tesori bibliografici, rendendoli disponibili a chi si colleghi ai loro siti (spesso in maniera gratuita). Sono imprese colossali, impossibili prima d’ora. La rete consente di entrare virtualmente nelle sale di consultazione di queste biblioteche, aggirarsi tra file enormi di scaffali, sfogliare a piacimento i manoscritti e i libri da loro posseduti, scaricare pdf, stampare quello che interessa. Io stesso mi sono avvalso più volte di queste opportunità, inimmaginabili fino a pochi anni addietro. Ho così potuto consultare testi antichi o rari che in altri tempi avrei potuto leggere con grande difficoltà, recandomi in biblioteche lontane.

Tutto risolto, il libro cartaceo diventerà inutile? No, non tutto è nella rete, né mai lo sarà. Quantità crescenti di testi sono via via a disposizione dei navigatori. Ma altri, protetti da inviolabili diritti d’autore, non possono essere consultati in internet. Moltissime pubblicazioni, soprattutto recenti, resteranno accessibili solo attraverso il testo stampato. Non sono questioni da risolvere con appigli legali («eliminiamo il diritto d’autore!») o escogitando la possibilità di leggere in maniera illegale i nuovi libri (si tratterebbe di veri e propri furti). Chi vorrà incoraggiare la pirateria digitale?

Nella diversità, vecchio e nuovo possono coesistere. A volte si discute della scomparsa del libro, assediato dalle nuove modalità digitali che si affiancano alle forme tradizionali di diffusione del sapere. Alcuni anni fa Umberto Eco e Jean-Claude Carrière pubblicarono un libro dal titolo illuminante: Non sperate di liberarvi dei libri. Una vera e propria dichiarazione d’amore. Ne ricordo una sola frase: «Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici: una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio». Invenzione perfetta, l’uomo non potrà mai rinunziarvi.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 22 settembre 2019]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (terza serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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