Itali-e-ni 25. Il nuovo mondo

Ma non è il futuro che interessa a questa classe dirigente, perché quello è stato consumato dalla politica del passato, la politica vecchia, fatta solo di parole, vuota. Quel che interessa è il presente, solo questo presente, nient’altro che il presente. Spazzate via le vecchie categorie di pensiero, tutto l’armamentario ideologico novecentesco, oggi si impone una democrazia tecnica che promuove una scelta razionale, basata sui risultati concreti a breve scadenza. Si ambisce ad una uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini utenti (“la casta delta”) di fronte al tele potere. In effetti, già nel Novecento alcune ibridazioni politiche, come liberaldemocrazia o socialdemocrazia, avevano in parte allargato o ristretto i concetti “canonici” di destra e sinistra. Oggi che queste due categorie ideologiche e politiche non esistono più, nella nuova strutturazione della società postindustriale e globale, la ribalta è occupata da un asettico, ibrido pensiero di centro sinistra che si basa sostanzialmente su tre cardini: modernismo, riformismo, laicismo.

Modernismo. Il Paese va sempre più verso una forma di modernizzazione esasperata, nel senso di una vera e propria mutazione genetica della società. I nuovi costumi e consuetudini vengono  codificati e si può facilmente pronosticare che pratiche oggi ritenute aberranti potranno presto essere normate, incluse nell’impianto legislativo. Il modernismo è un blocco compatto che va da centro sinistra a centro destra e abbraccia trasversalmente professioni e classi sociali e reddituali. Nella middle class, che è magna pars del Paese, il modernismo è un’esigenza fortemente sentita e per questo mutuata nel programma politico del governo Renzi.  Il modernismo è il grimaldello teorico che utilizzano i grandi propugnatori del capitalismo tecnico che governa l’Italia attraverso le lobbies finanziarie, per indirizzare il senso comune, per convincere il popolo dell’equazione: modernizzare uguale migliorare. Equazione del tutto fasulla, non confortata dall’esperienza storica, ma psico distillata nell’elettorato attraverso  (in)oculate campagne di (dis)informazione. Si assiste così ad una facile captatio benevolentiae,  alla conquista del consenso, alla sua aggregazione intorno ad un modello spacciato per vincente; e attraverso un flusso ininterrotto, vengono ad agglomerarsi il possibile ed il reale intorno ad una euritmica teledemocrazia metamorfica, proteica, onnisciente e onnicomprensiva, mitizzata, quasi edenizzata, nell’immaginario collettivo.

Riformismo. Il riformismo spinto è la seconda tendenza con cui il governo cerca di imporre il suo new style. Riforme a tutto spiano. Riforma delle amministrazioni locali, via le province, vita alle città metropolitane, riforma del lavoro, col Job Act, riforma del sistema elettorale, riforma del Senato, riforma del credito cooperativo, riforma delle pensioni. Infine, riforma costituzionale. Poco importa se per la maggior parte sono riforme annacquate, incomplete, forse incostituzionali, l’importante è fare. È un’eredità che il governo Renzi ha ricevuto dal governo Berlusconi (il quale ha fatto ben poco in realtà) e sta cercando di mettere a frutto.

Laicismo. Il laicismo è la punta di diamante di questo programma.  Si è capito che lo Stato debba ormai sottrarsi del tutto alla sfera di influenza della Chiesa, al diabolico mix tra potere spirituale e potere temporale, a quella cappa di fanatismo moralista e intransigenza religiosa che da sempre ha avvolto l’Italia. Lo Stato deve avere della vita una visione laica, che non si fa influenzare dalle pressioni delle gerarchie ecclesiastiche, come la legge sulle coppie di fatto, sul divorzio breve, e i vari progetti di legge sul fine vita dimostrano. Per non farci superare dalla Spagna nel cammino dei diritti civili, abbiamo accelerato il passo, fuori da ogni settarismo, da ogni rissa fra guelfi e ghibellini, da una catto-democrazia ormai superata, da ogni vieto tradizionalismo. Si parla da decenni dell’autonomia della politica dalla religione e sembra che finalmente questi tempi possano dare una spallata. Già nel Vangelo si pone una linea di separazione fra potere del sovrano e salvezza dell’anima (“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”). L’Italia è il paese di Macchiavelli, che aveva teorizzato l’autonomia della politica dalla morale e dalla religione. Del resto, la Chiesa con le sue pretese egemoniche è stata per tutta la storia una spina nel fianco dei governi, di qualsiasi forma di stato. Oggi, il nuovo che avanza, rappresentato dal governo Renzi, ha deciso di smettere di combattere un nemico oggettivamente troppo forte per riuscire a sconfiggerlo, e di cercare invece di assimilarlo. La storia in questo senso, nonostante la tendenza a cancellare il passato e a presentizzarlo in un emergenziale hic et nunc, viene in soccorso. In certi periodi, nel passato, i sovrani erano sacri, concentravano anche il potere spirituale. Quindi il governo Renzi non pretende di sostituirsi alla Chiesa, ma la ingloba in sé, almeno nei suoi valori portanti.  Grazie all’influenza dei teo-dem che militano nel Pd (quelli dell’area ex Margherita), il governo ha fatto propri quei valori di tolleranza religiosa, apertura verso le altre confessioni, carità, cioè solidarietà laica e cristiana verso i poveri e gli emarginati, accoglienza dei migranti, aiuti alle classi svantaggiate, pace preventiva, insomma buona parte del portato ideologico (la dottrina sociale) della Chiesa Cattolica. E così, il nuovo potere tiene a balia l’elettorato, fa da padre e da madre ai suoi cittadini, acclude, ingloba, ribaltando il latino divide et impera in un ecumenico e prosastico “volemose bene”. I radicali, orfani di Marco Pannella, riconoscono queste conquiste e benedicono. Benedicono i neo dem, insieme all’area moderata alleata di Renzi. Benedicono i fuoriusciti di Forza Italia, ossia Verdini e la sua Ala. Benedicono naturalmente i potentati finanziari (“la casta alfa”), di cui i governi sono i comitati d’affari.

Puntando su questi tre assi portanti, il nuovo potere abbraccia l’Italia. Ministri e ministre, sottosegretari e capicommissione, trasbordano dagli schermi. I loro discorsi sono impastati di un tecnicismo che conferisce ai messaggi veicolati un fondamento di scientificità e seduzione che fa più presa sulle masse. Il senso comune così si impone erga omnes e rende tutti partecipi e contenti.

GIUGNO 2016

Questa voce è stata pubblicata in Itali-e-ni di Paolo Vincenti e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *