La fine del ‘700 è segnata per le due dinastie borboniche di Francia e Napoli da due rivoluzioni, in Francia nel 1789, a Napoli nel 1799, figlie della stessa cultura illuministica. Ma, mentre a Parigi gli ultimi due Luigi (XV e XVI) avevano regnato nell’indifferenza dei grandi rivolgimenti culturali e sociali che si verificavano in quel paese, a Napoli c’erano stati importanti tentativi di prevenzione con una “illuminata” politica riformatrice. Tanto più importante, questa, quanto più si considerano le date delle più significative riforme di Carlo III, ad incominciare dall’istituzione del Catasto onciario del 1740, concepito in uno spirito di giustizia perché “’l povero non sia caricato più delle sue deboli forze, ed il ricco paghi secondo i suoi averi”. Se a Napoli non si riuscì ad evitare la rivoluzione fu per l’involuzione borbonica e il vuoto esistente fra una classe intellettuale di illuminati, cui non erano estranei alcuni nobili e prelati, e una classe sociale, i baroni, del tutto indisposta a partecipare o ad accogliere le riforme.
Nel volume si colgono sia le istanze innovatrici degli intellettuali sia le incertezze e le contraddizioni nell’economia e nella società, sia infine il travaglio culturale e religioso in una chiesa, che pur ridimensionata nelle sue aspirazioni o forse proprio per questo, seppe esprimere importanti figure di vescovi illuminati come Giuseppe Capecelatro arcivescovo di Taranto.
Fra i saggi più interessanti ci sono quelli di Ettore Catalano e di Fabio D’Astore che danno un’idea del panorama dei letterati illuminati sotto Carlo III; ma anche il saggio di Giuseppe Trincucci per la “scoperta” di uno straordinario intellettuale, il lucerino Giuseppe Maria Secondo, il quale nel 1747 tradusse in italiano la Cyclopedia (1728) dell’inglese Ephraim Chambers, che precede l’Encyclopedie dei francesi Diderot e D’Alembert, il cui primo volume esce più di vent’anni dopo, nel 1751. A mettere bene in chiaro il contrasto fra gli innovatori e i resistenti è il saggio di Vittorio Zacchino sull’Accademia degli Speculatori, le cui riforme miravano alla rinascita di Terra d’Otranto. Apprezzate e fatte proprie a Napoli – commenta amaramente Zacchino – queste proposte riformatrici non lo furono da noi e anzi i loro ispiratori e autori furono circondati da derisione e discredito. Carattere storico-erudito ha il contributo di Giuseppe Brescia su Vico e il riformismo di Gian Donato Rogadeo. Laura Faciecchia indaga sulla presenza di Carlo di Borbone nella letteratura napoletana. Nel saggio di Cristina Martinelli si coglie la parabola riformistanel caso di una nobile famiglia salentina, quella dei marchesi Del Tufo di Matino.
Nella sezione Società ed Economia particolare rilievo assumono i saggi di Salvatore Capodieci Giuseppe Palmieri, l’arte della guerra e le innovazioni agricole, di Giacomo Carito su Brindisi nell’età di Carlo III, di Francesco De Paola sulla Riforma fiscale e le sue ricadute in Terra d’Otranto, coi casi di Casarano, Taurisano e Salve. Particolare evidenza ha il saggio di Vito Petracca L’emersione di una figura sociale nuova: il prete-banchiere, per i suoi risvolti non solo economici e sociali ma anche di costume. Per gli aspetti più squisitamente etico-pedagogici il saggio di Hervé Cavallera, La rilevanza del tema educativo nella Napoli di Carlo di Borbone, nel quale spicca tra le più qualificanti riforme quella dell’educazione, per merito di Antonio Genovesi e della sua scuola. Questa – dice Cavallera – “diede all’illuminismo italiano meridionale un carattere particolare”. Michelangelo Filannino e Guido Giampietro analizzano i casi di riformismo difficile, di Barletta l’uno e della famiglia Nisi di Brindisi l’altro.
Nella sezione Chiesa ed istituzioni religiose locali il saggio di Alfredo di Napoli, L’antigesuitismo napoletano e riverberi in Salento nel secondo Settecento, affronta il problema dei gesuiti e la loro espulsione dal Salento. Dora Donofrio Del Vecchio fa conoscere la figura di un vescovo francescano “riformatore” e “illuminato”, Il beato Antonio Lucci OFMconv.. Di Domenico Urgesi è il breve intervento su Carlo De Marco, ministro riformatore anti-curiale (1759-1798), nel contrasto dei poteri tra Borboni e Santa Sede.
I contributi, come si è potuto notare, non sono enucleati per aree geografiche ma per settori tematici: cultura, economia, chiesa.
[“Presenza taurisanese”, a. XXXVII – n. 8/9 – Agosto-Settembre 2019, p. 6]