La memoria mortificata nel villaggio globale

di Antonio Errico

Aurelio Agostino, vescovo di Ippona, filosofo, teologo, fatto santo, è uno dei più grandi scrittori di ogni tempo, capace di sciogliere in semplicità di espressione i concetti più complessi, di elaborare immagini di intensità straordinaria, di radunare in una sintesi essenziale significati provenienti da processi di pensiero diversi.

Per esempio, nelle “Confessioni” ci sono pagine sulla memoria che raggiungono profondità eccezionali, che anticipano la più avanzata psicologia.

C’è un punto, nel decimo libro, in cui Agostino scrive degli “ampi ricettacoli della memoria”, dove si trovano accumulati innumerevoli tesori di immagini.

Quando entro in quei ricettacoli, dice, basta che io chieda quel che voglio trarne. Alcune impressioni emergono subito, altre bisogna ricercarle più a lungo come se si dovessero cavar fuori da ripostigli più segreti, altre ancora si affollano tutte quante insieme mentre si cerca o si vuole cosa diversa, e balzano in mezzo come per dire “ siamo forse noi?”. Con un atto di volontà – continua – le allontano dalla visione del ricordo, fin quando non si snebbia quello che io voglio e non viene fuori, chiaro, dal fondo. Poi ci sono altre impressioni che si snodano con facilità e con ordine perfetto secondo il richiamo. Le prime cedono il posto alle seconde, e, quando si ritirano, tornano nel loro nascondiglio, pronte a riapparire ad un cenno della mia volontà. Il che avviene quando narro qualcosa mnemonicamente.

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