di Rosario Coluccia
Nella storia dell’umanità la nascita della scrittura risponde al bisogno di comunicare con altri valicando le restrizioni di spazio e di tempo intrinseche all’oralità. Consegnando il proprio pensiero allo scritto l’uomo supera la contingenza e l’effimero, tende all’eterno. Fin dalle manifestazioni più remote (oltre 5 mila anni fa) si scriveva per soddisfare esigenze diverse (pratiche, documentarie, religiose, narrative) ma il numero di coloro che erano in condizione di accedere alla scrittura (e alla lettura) rimase a lungo limitato. L’avvento della stampa (intorno alla metà del Quattrocento) e la fabbricazione dei libri in serie rappresentarono un salto qualitativo di enorme importanza. Il libro a stampa, riproducibile con una certa facilità e meno caro rispetto a quello copiato a mano, produsse una formidabile spinta culturale, anche in ambienti socio-economici non elevati. Gli uomini poterono più agevolmente accostarsi ai libri e al sapere in essi contenuto, sia pure con progressione lentissima. In Italia, al momento dell’unità politica, poco più di centocinquant’anni fa, il 78% della popolazione non sapeva né leggere né scrivere. Solo da qualche decennio, dopo la seconda guerra mondiale, gli italiani hanno conquistato l’alfabeto.
Il livello di civiltà di una società si misura dalla quantità di libri in circolazione e dal numero dei lettori. La popolazione adulta di una società che non legge regredisce ineluttabilmente verso forme di analfabetismo o di semianalfabetismo. Se il cervello delle persone in età adulta non viene costantemente allenato arretra rispetto ai livelli raggiunti nell’adolescenza e in gioventù, le competenze acquisite a scuola si deteriorano, entrano in crisi perfino le abilità di base (leggere, scrivere e far di conto). Al contrario, se si creano le condizioni, l’apprendimento può continuare a qualsiasi età, non si finisce mai di imparare. La ricerca internazionale PIAAC («Programme for the International Assessment of Adult Competencies»), ideata dall’OCSE, esamina la capacità degli adulti di 24 paesi nel mondo (tra cui l’Italia) nei seguenti ambiti: lettura e comprensione di testi scritti, risoluzione di problemi matematici, conoscenze linguistiche. Dall’inchiesta risulta che all’Italia spetta il primato negativo in Europa per il cosiddetto «analfabetismo di ritorno» (si chiama così). Solo il 30 per cento degli italiani adulti ha un rapporto sufficiente con lettura, scrittura e calcolo. Gli altri si muovono in un orizzonte ristretto, subiscono quel che succede nel mondo senza comprendere esattamente il senso degli avvenimenti, quindi hanno ridotte possibilità di partecipare attivamente alla vita sociale ed economica. Ne risulta minata la democrazia, dalle fondamenta.