Lo sbarco dell’uomo sulla luna fu osservato in diretta da milioni (forse miliardi) di individui nel mondo. A quella prima missione altre seguirono, documentate da filmati e immagini conservati negli archivi di varie nazioni. Pare perciò incredibile che, a 50 anni dall’impresa, con decine di evidenze che dimostrano la veridicità dell’allunaggio, ci sono molti che non credono che tutto ciò sia avvenuto. Secondo alcune ricerche, pensano che lo sbarco sulla luna sia un falso il 5-10% degli americani, il 12% dei britannici, il 57% dei russi; non ce la caviamo male neanche noi, il 20% di italiani non crede all’allunaggio. All’origine di questo scetticismo c’è un pamphlet intitolato We Never Went to the Moon: America’s Thirty Billion Dollar Swindle («Non siamo mai andati sulla Luna. Una truffa da 30 miliardi di dollari») autopubblicato da Bill Kaysing, che tra il 1956 e il 1963 lavorava presso un’azienda produttrice di motori a razzo. Il finto allunaggio costituirebbe un’enorme cospirazione inscenata dalla NASA per continuare a ricevere lautissimi finanziamenti e, nello stesso tempo, per far vincere all’America, anche in termini propagandistici, la competizione con l’URSS. Autore dei filmati fittizi sarebbe stato un ricattato Stanley Kubrik, che tuttavia si sarebbe vendicato della violenza subita svelando al mondo l’inganno da lui stesso perpetrato attraverso allusioni disseminate in uno dei suoi film più famosi, il celeberrimo Shining. Ma tutto si riduce al bambino del film che indossa un maglione con il disegno del razzo e la scritta «Apollo 11» e al numero di stanza dell’hotel: il 237, che alluderebbe alla distanza della Luna dalla Terra (237mila miglia).
La domanda è: come è possibile che tanta gente al mondo rifiuti di credere a fatti evidenti e documentati? Fin dall’antichità, notizie infondate venivano costruite ad arte e messe in circolazione per desiderio di potere, per trarne benefici economici, per scopi politici. «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre», scrive Dante (Inferno XIX, 115-117), deprecando la cosiddetta «Donazione di Costantino» con la quale l’imperatore Costantino avrebbe donato nel 314 al papa Silvestro I la giurisdizione civile su Roma, sull’Italia e sull’intero Occidente. Ritenuto autentico da Dante (che peraltro lo considerava fonte di rovina per la Chiesa e per l’Impero), quel documento era invece un falso, fabbricato in ambienti ecclesiastici probabilmente nel periodo 750-850. Erano falsi i cosiddetti «Protocolli dei Savi di Sion», il testo-base dell’antisemitismo mondiale, messo insieme dalla polizia segreta russa per giustificare le persecuzioni nei confronti di ebrei, ma anche di progressisti e liberali; riutilizzato da Hitler, fu pretesto per l’olocausto; altri ne fecero (/ ne fanno) l’alibi per sopraffazioni e offese.
Negli ultimi decenni l’aumento di «leggende metropolitane» (calco dall’inglese «urban legends») è incontestabile. Non si diffondono solo nelle metropoli (come il nome indicherebbe), si insinuano dappertutto. Rispetto al passato, colpisce il fatto che le falsità non nascono e non si alimentano solo per volere di un’istituzione (anche se ci sono le falsità di stato, in Italia ne abbiamo subite molte); spesso la fonte è indeterminata. Ci sono coccodrilli nelle fogne di Roma, sconosciuti trasmettono epidemie attraverso lettere infette e lattine contaminate, un arabo a cui è stato restituito un portafoglio smarrito ringrazia chi glielo restituisce suggerendogli di non prendere la metropolitana in una data ora (e poi proprio in quell’ora si verifica un terribile attentato), la terra non è rotonda ma piatta (è stato inventato un nome per definire chi ci crede, «terrapiattista»). Non sono solo elaborazioni sorprendenti o ingenue, che traggono spunto dalle nostre paure o dai nostri desideri. Possono produrre conseguenze nefaste, come la falsità che i vaccini provocano l’autismo (ma chi non vaccina i propri figli danneggia anche gli altri).
Le informazioni fittizie hanno a volte un fondamento di vero (o verosimile) che finisce per renderle appetibili a giornali, televisioni e Internet. La leggenda metropolitana si sposta dalla narrazione orale alla rete. Il mezzo elettronico rende estremamente veloce la diffusione delle leggende, che circolano in un universo differente da quello tradizionale, la parola si amplifica a dismisura. Internet è diventato, di fatto, il principale mezzo di diffusione di credenze infondate, di bufale, di voci, di dicerie maligne, ingiuriose o calunniose.
È il lato oscuro della rete. La rete infestata da propagatori di informazioni non veritiere e da odiatori seriali: protetti dall’anonimato individui turpi coniano notizie false, diffondono pettegolezzi, diramano foto che dovrebbero restare privatissime, lanciano insulti, godono delle disgrazie e delle sofferenze altrui. Come molti ho creduto che la proliferazione delle tecnologie digitali avrebbe portato alla liberazione dell’umanità: tutti liberi di informarsi, di decidere con la propria testa, di costruire in questo modo la propria vita privata e di contribuire con lucidità all’edificazione di una società migliore. Non è stato così. Anzi, c’è di peggio. Ogni volta che navighiamo in internet lasciamo tracce che riguardano il nostro modo di essere e di pensare, i nostri gusti, le nostre aspirazioni. Di conseguenza siamo tormentati da migliaia di offerte che ci invogliano a comprare oggetti “meravigliosi” e inutili, a indebitarci per godere delle ultime novità. Gruppi potentissimi traggono da tutto questo enormi guadagni e spremono profitti. Non è una critica alla rete in quanto tale, ma capire come funziona il mondo può aiutarci.
Non possiamo nasconderci nei boschi e dar fuoco a computer e a cellulari, ma possiamo riflettere su quello che avviene intorno a noi, sforzarci di non essere passivi e manipolati. Torniamo all’illuminismo, frutto altissimo della civiltà occidentale.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 1 settembre 2019]