di Antonio Errico
I tempi sono così: confusi; qualche volta confusi a tal punto che risulta alquanto difficile decifrarne i segni.
Esistono forme e strumenti che dovrebbero servire proprio da sostegni alla decifrazione e alla interpretazione dei segni dei tempi.
Forse uno di questi sostegni è la scrittura, che dovrebbe essere chiara non solo, o non tanto, nei concetti quanto, soprattutto, nella sintassi, nel lessico. Nello stile in senso generale.
Mi veniva da pensare questo mentre cercavo di comprendere un articolo su una rivista, di trovare dei punti di riferimento nei periodi che avevano la lunghezza che hanno le fermate di un treno a lunga percorrenza.
Butto le mani avanti: nessuno di coloro che scrivono qualcosa da qualche parte può dirsi senza peccato; nessuno può permettersi di scagliare una pietra. A volte accade di non essere chiari senza nessun tipo di progetto; semplicemente, banalmente, si è presi dalla fretta, soggiogati da un ritmo che in quel momento sembra coerente, richiamati come le gazze da qualche parola che ha la stessa lucentezza di un coccio di bottiglia. Oppure, meno banalmente, non si è chiari perché ci si confronta con concetti che non rientrano in formule linguistiche di semplice struttura.