di Rosario Coluccia
Parlando della scomparsa della grande scrittrice afroamericana Toni Morrison, Nobel per la letteratura nel 1993, nelle scorse settimane i media hanno ricordato i temi che, variamente declinati, percorrono le sue opere. Il ricordo, l’impossibilità di dimenticare una parte della storia americana che tanti invece rimuovono: i neri morti durante la traversata dell’Atlantico compiuta a bordo delle navi negriere, la schiavitù, il razzismo che ancora oggi attraversa la società d’oltre oceano. L’Italia non è un paese razzista, ripetevano in molti fino a una trentina di anni fa; ma un razzismo sottile avvelenava già allora la nostra società, la discriminazione dei settentrionali nei confronti dei meridionali. Poi sui barconi sono arrivate persone con la pelle più scura della nostra, e ci siamo scoperti razzisti. Le cronache di quest’estate pullulano di episodi razzisti. Il razzismo è di moda, incoraggiato da politici alla ricerca di voti e di facili consensi. Odiare e far odiare qualcuno è più semplice che affrontare e risolvere problemi intricati. Una certa politica nasconde le proprie mancanze creando dei nemici da combattere. Anche la lingua si è inasprita, parole di odio si leggono e si ascoltano di continuo.
In Italia il razzismo ha radici remote. Il primo numero della rivista «La difesa della razza» uscì il 5 agosto 1938. In copertina erano raffigurati i volti affiancati, con tratti somatici molto marcati, di un ariano, di un ebreo e di un nero; una spada (impugnata da una mano esterna) separava il primo volto dagli altri due. La rivista nasceva nel clima di piena adesione del regime fascista all’ideologia nazista. Le leggi razziali, applicate in Italia fra il 1938 e i primi anni quaranta, furono rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica. Cittadini italiani venivano da un giorno all’altro ferocemente discriminati e la loro vita quotidiana diventava di colpo impossibile. Il peggio venne dopo. Con rastrellamenti in molte città, a partire da Roma, gli ebrei italiani vennero spediti nei lager nazisti del centro Europa: fu la partecipazione attiva dell’Italia all’olocausto. Pochissimi sopravvissero ai campi di concentramento. Primo Levi pubblicò nel 1947 Se questo è un uomo, descrivendo le terribili condizioni di vita (e di morte) nel campo di Moniwitz (satellite di Auschwitz), fino all’arrivo dei liberatori russi, il 27 gennaio 1945 (quel giorno, il 27 gennaio, è diventato dal 2005 il «Giorno della Memoria», per ricordare le vittime dell’olocausto). Levi ha scritto: «Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo».